Gatto e Libertà. Una storia dello Spadaccino

GattoLiberta

Alla fine Gatto e Libertà, la terza avventura dello Spadaccino (di cui forse avete sentito parlare) è uscita.
Si svolge tra il 1546 e il 1547, con una parentesi nel 1540; nella cronologia delle storie pubblicate finora sarebbe la seconda avventura, tra Colei che Canta e L’Isola del Teschio.
È una storia più lunga delle altre, circa il doppio, e contiene alcuni elementi del romanzo storico: ci sono personaggi realmente esistiti tra i suoi personaggi e parte della vicenda è collegata a un fatto piuttosto importante nella storia genovese, la Congiura dei Fieschi. Oltre a questo, c’è ovviamente una componente sovrannaturale e si racconta anche qualcosa sul passato dello Spadaccino.
Se avete letto i miei post di un paio di estati fa sulla Liguria, Terra leggiadra, potreste ritrovare alcune cose familiari.
Ecco intanto un assaggio: l’azione si svolge in Corsica, nel 1540.

I due genovesi furono gli ultimi a uscire dalla taverna.
Il vino aveva sciolto la lingua dello spadaccino e aveva barattato i racconti delle sue avventure nel mondo con i resoconti di quello che era successo a Genova negli ultimi anni. L’uomo con il cappello sembra sapere molte cose della politica cittadina.
La notte estiva era tiepida e profumata, il cielo sgombro di nuvole un tappeto di stelle.
La taverna di Ghjuvan era poco più in alto dell’abitato, sperata da un viottolo che correva tra i campi.
“Anche tu hai una bella spada, ragazzo mio,” disse lo spadaccino. “Deve esserti costata un sacco.”
Quello scrollò le spalle. “Il giusto.”
“Spero che tu la sappia anche usare bene, perché credo che ne avremo bisogno.”
I pisani. Sette di loro erano schierati sulla strada, in un semicerchio. Li aspettavano, armati di coltellacci.
“Avete la lingua lunga, genovesi,” disse uno di loro.
“O forse siete voi che avete le orecchie lunghe,” ribatté l’uomo con il cappello, così svelto che un paio di pisani risero senza pensarci.
“Zitti, idioti!” disse uno di loro, un po’ più sveglio dei compari.
I genovesi sguainarono le spade. L’uomo con il cappello proseguì: “È questo l’amor proprio dei figli della seconda Roma? Vi si dà dei conigli e ridete?”
Lo spadaccino girò lentamente su se stesso: i pisani li stavano accerchiando. Si trovò schiena contro schiena con il compagno. Sfoderò anche il pugnale, che sarebbe stato utile per parare. Il suo compagno fece lo stesso. Pensò che fosse un peccato non avere a disposizione una pistola, poi non ci fu più tempo per pensare.
Gli assalitori avevano il vantaggio del numero, i due genovesi armi più lunghe con cui potevano tenerli a distanza, o almeno provarci. Al primo assalto lo spadaccino rimediò un lungo graffio sul petto, il suo compagno un colpo di striscio alla gamba destra. Ma a due pisani era andata peggio: uno aveva ricevuto un colpo alla mano che gli aveva quasi segato il polso fino all’osso, l’altro, infilzato al basso ventre dallo spadaccino, si contorceva a terra in un lago di sangue. Gridava come un maiale scannato.
“Bastardi,” urlò uno dei pisani prima di guidare un nuovo assalto. L’acciaio danzò di nuovo, levando scintille, strappando vesti e carni, spillando sangue. Lo spadaccino uccise un altro avversario, lo stesso fece il suo compagno. I tre pisani rimasti in piedi, più quello con il polso devastato, si guardarono. I due genovesi sorridevano, sporchi ed ebbri di sangue, mentre loro erano feriti, ubriachi e spaventati.
Al diavolo, si dissero. L’onore di Pisa non valeva le loro vite.
Senza dire una parola, scapparono a gambe levate. Lasciarono lì il loro compagno ferito.
I due genovesi si guardarono. “È spacciato,” disse l’uomo con il cappello. “Può solo morire dissanguato.”
“No!” urlò l’uomo a terra. “Non è vero, aiutatemi, aiutatemi! Posso…”
“Shhh,” disse l’uomo con il cappello. “Come ti chiami, pisano?”
“Rainaldo, signore, Rainaldo di Guastaldo, vi prego, portatemi da un cerusico, vi prego.”
“Chiudi gli occhi Rainaldo. Abbandona la tua anima e muori in pace.”
“No, signore, no, vi prego, vi pre…”
Lo spadaccino distolse lo sguardo quando la lama affondò nella gola di Rainaldo. “Pace all’anima tua, Rainaldo di Guastaldo,” disse il suo compagno.
L’uomo con il cappello pulì la lama con un pezzo di stoffa. “Sai che cosa temo di più? L’agonia. Spero che se mai capiterà a me ci sarà qualcuno a porre fine ai miei tormenti.”
Lo spadaccino annuì. “Combatti bene per essere uno con dei batuffoli di cotone al posto della barba.”
“Attento.” Puntò la lama alla gola dello spadaccino. “Sono molto suscettibile sulla mia barba.”
Lo spadaccino mise via la sua spada e alzò le mani. “Come non detto. Però combatti bene lo stesso.”
“Ho avuto un buon maes… Attento!”
Lo spadaccino si voltò di scatto. Non vide niente. Poi qualcosa di duro cozzò contro la sua nuca. “Ma cosa…?” fece appena in tempo a dire. Poi fu tutto nero.

(volevo dire che comunque ho molti amici pisani)

Con Gatto e Libertà porto finalmente a termine il progetto originario, che era quello di avere tre titoli da pubblicare a breve. Colei che Canta era quasi finito quando pubblicai L’Isola del Teschio, pensavo di riuscire a scrivere un terzo episodio in fretta e invece c’è voluto più tempo del previsto. Ci sono state due false partenze, una poi confluita in questa storia, un’altra da riprendere da capo.

Gatto e Libertà è disponibile sul kindle store al prezzo di 1,50 € (gratis per chi ha sottoscritto il programma Kindle Unlimited)
È necessario avere un Kindle per leggerlo?
No.
L’applicazione Kindle è disponibile per tablet e telefonini Apple, Android, Windows e Blackberry oltre che per computer (ma non per Linux).
Inoltre, il file è privo di DRM e può essere convertito in ePub usando Calibre per poterlo leggere su e-reader che non siano Kindle.

Non posso prevedere quale sarà il prossimo racconto dello Spadaccino. Sto leggendo cose sull’epoca dei Conquistadores e sui monasteri cristiani nel Medio Oriente, tanto per capire che cosa può ispirarmi. L’idea è di tornare all’avventura pura dell’Isola del Teschio, ma non si può mai dire.

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