Nella plurisecolare storia della Roma antica, probabilmente la palma della massima sfortuna postuma tocca a Publio Vibio Mariano, proconsole e preside della Sardegna e prefetto della Legio II Italica, vissuto nella seconda metà del III secolo d.C. La figlia di Publio, Vibia Maria Massima, fece costruire un imponente sepolcro per lui e la moglie Reginia Maxima lungo la via Cassia, arteria di ingresso alla città per chi proveniva da nord.
Non COSÌ imponente, Piranesi ha un filo esagerato
Per gli antichi romani la tomba era una questione piuttosto importante, perché preservava la memoria del nome dei defunti e, come credevano non a torto, nessuno è davvero morto fino a che qualcuno si ricorda il suo nome. Per questo, farsi seppellire vicino a luoghi di passaggio era un buon viatico per l’eternità. A volte le iscrizioni si rivolevano direttamente a eventuali viandanti perché non ignorassero le lapidi, talvolta invece minacciandoli
Qui hic mixerit aut cacarit habeat deos Superos et Inferos iratos «Chi piscia o caca qui (sulla tomba) abbia gli Dei superiori ed inferi adirati»
(da qui, anche per altri esempi, anche di humour nero)
L’iscrizione scelta da Vibia per i genitori era molto sobria e informativa, quasi un curriculum:
Sacro agli dei Mani a Publio Vibio Mariano figlio di Publio eminentissimo uomo, Procuratore e Presidente della provincia di Sardegna, due volte Pro Pretore, Tribuno della Coorte X Pretoriana, XI Urbana, IV dei Vigili, Prefetto della Legione II Italica, Pro Pretore della Legione III Gallica, Centurione dei Frumentarii, oriundo dalla colonia italica Iulia Dertona padre dolcissimo e a Reginia Massima madre carissima la figlia ed erede Vibia Maria Massima ebbe cura di costruire
Nella vita ho sempre immaginato che prima o poi in libreria ci sarebbero stati dei libri scritti interamente da me. Quello che non avevo programmato è che sarebbero stati dei libri di narrativa “per ragazzi”. Per giunta, illustrati (da Roberto Lauciello – anche lui genovese e questa è una bella combinazione). Ma, si sa, la vita è quello che ti succede mentre tu fai dei progetti, quindi eccoli qua, da oggi 18 aprile sono ufficialmente in distribuzione i (primi) 4 titoli della collana di narrativa della Banda delle Bende, per i tipi di Franco Cosimo Panini Editore – il che vuol dire che io e Altan, per dire, abbiamo lo stesso editore.
La Banda delle Bende è un gruppo di quattro (più uno) personaggi nati per accompagnare il lettore in una collana di divulgazione realizzata in collaborazione con il Museo Egizio di Torino, all’interno della quale erano presente scenette interpretate da Kha e Merit (ispirati a due mummie del Museo), la loro gatta Miu e i due giovani Schiapp (da Ernesto Schiaparelli) e Cody (se non ricordo male, da Erminia Caudana, restauratrice del Museo).
Cose così (i disegni sono di Roberto Lauciello)
Quando ho saputo che c’era l’intenzione di provare a fare della narrativa con quegli stessi personaggi, ho buttato giù quattro soggetti. Sono stati approvati e a quel punto mi sono reso conto che avrei davvero dovuto sfornare in tempi abbastanza brevi quattro storie per un pubblico per il quale non avevo mai scritto in vita mia. Le cose per fortuna sono andate molto meno peggio del previsto: tra i buffi incidenti di percorso, ho dovuto fondere insieme due soggetti perché da soli non avrebbero retto la lunghezza richiesta, trovandomi a dovere inventare da zero una storia al volo. Ho tirato gli Story cubes e mi hanno dato una buona idea, che è diventato il quarto titolo della collana. Ma di cosa parlano, queste storie? In sintesi, di quattro improbabili eroi (più uno) che si trovano invischiati in avventure incredibili che coinvolgono – a vario titolo – la mitologia egizia. Non sono strettamente storie didattiche, ma gli elementi egizi che contengono hanno ricevuto la supervisione dal Museo Egizio stesso; e in ogni caso, da buon fan di Martin Mystère ho chiesto che in fondo ci fossero delle pagine in cui si potessero spiegare le differenze tra quello che viene raccontato nelle storie e la vera mitologia egizia. Le storie iniziano tutte in un museo senza nome che non è il Museo Egizio, ma un po’ gli assomiglia. Mentre scrivevo, il mio ideale era un modello Carl Barks / Duck Tales: avventure buffe in posti esotici, adatte ai bambini (l’età consigliata è 9+) ma in cui anche lettori più navigati possano trovare qualcosa di divertente.
I quattro titoli (e le relative sinossi, più qualche retroscena) sono questi:
Illustrazione di Roberto Lauciello
Nella terra della notte La gattina Miu è scomparsa! L’unico indizio è un misterioso buco luminoso che si è aperto in uno dei luoghi più magici del museo. Quando la Banda delle Bende lo attraversa ha inizio un’avventura tra dèi, sfingi parlanti, uccelli dalla testa umana e fiumi impetuosi, fino a una minacciosa caverna… Non sarà certo una barzelletta (o forse sì?), sfuggire alla terra della notte!
È la prima storia che ho scritto (in realtà come sceneggiatura a fumetti di 16 pagine) e quella più rigorosamente egizia, nella quale ho adattato il mito del viaggio notturno di Ra che, con le sue prove, forniva già una struttura narrativa pronta all’uso. Il finale – con un crossover mitologico molto ardito – è un omaggio a certe storie con Zio Paperone, Paperino e Paperoga. La barzelletta che racconta Kha è la prima che mi abbiano mai raccontato.
Illustrazione di Roberto Lauciello
Un visitatore sgradito
Mummie che terrorizzano i visitatori, statuette egizie che si animano, macchine dʼepoca che ingoiano ignari passanti… Solo la Banda delle Bende può trovare il colpevole di una lunga serie di eventi misteriosi che sconvolgono la vita del museo, ma questo sarà solo l’inizio di un’avventura che porterà i nostri eroi sulle tracce di qualcosa di ben peggiore di un visitatore sgradito!
È un’avventura che si svolge quasi tutta all’interno del Museo, dove sono riuscito a infilare ben due delle mie divinità egizie preferite (Bes e Sekhmet). Oltre a nominare Carlo Cane, il mio indagatore dell’incubo, e inserirci un microracconto da toni weird raccontato a più voci (e se siete vecchi giocatori di ruolo, vi renderete conto che un personaggio ha passato un test di biblioteconomia) . Fa il suo esordio narrativo il direttore del Museo, che è un personaggio che mi diverte tanto scrivere. Il finale richiama un recente discusso evento del museo.
Illustrazione di Roberto Lauciello
La minaccia strisciante
La Banda delle Bende va in televisione! Invitato a una trasmissione sui misteri della storia, Kha si trova invischiato in una ragnatela di incredibili panzane sulla storia dell’Antico Egitto. Ma davvero tutto è come sembra o è solo un inganno per trascinare tutti in una nuova avventura, che li costringerà a confrontarsi nuovamente con una minaccia strisciante!
Questa è strutturata un po’ come un’avventura di Dungeons&Dragons, con un dungeon pieno di nemici e prove di astuzia e intelligenza. Metà buona della storia l’ho scritta in traghetto tra la Sardegna e Civitavecchia, disperato perché mi ero reso conto di avere chiuso la storia con svariate (SVARIATE) cartelle di anticipo. Nella prima versione c’era un evidentissimo omaggio al primo film di Conan che è stato ammorbidito in fase di editing. Però è rimasto il dialogo a pagina 121, che insieme al disegno sottostante ha un tasso di epicità davvero fuori scala (modestamente).
Illustrazione di Roberto Lauciello
Mummie nello spazio
Chi potrebbe mai rapire una mummia egizia? Alieni che assomigliano a grandi api, ovviamente, che trasportano Kha sul proprio pianeta perché lavori per loro. Ma la Banda delle Bende non si perde d’animo e troverà il modo di raggiungerlo, in un’avventura tra alieni di tutte le taglie, intrighi e un po’ di dolcezza. Come se la caveranno, le mummie nello spazio?
Oh boy. Questa è la storia nata da un lancio fortunato di dadi con alieni e api, che mi ha permesso non solo di scrivere un planetary romance in piena regola ma pure di scrivere “Tschai” in un libro. Delle quattro, è la storia meno egizia del lotto, ma è anche un test per vedere se i personaggi possono uscire dalla loro comfort zone e adattarsi ad altri ambienti senza snaturarsi. Per la copertina avevo proposto di citare i Gamma Ray.
Tutti i titoli possono vantare le splendide illustrazione di Roberto Lauciello, che ha creato graficamente i personaggi, in un’elegante monocromia sfumata che non fa rimpiangere la quadricromia.
(SPOILER!) Disegno di Roberto Lauciello
I primi quattro libri della collana (dico primi perché ho già consegnato le prime stesure dei quattro della “seconda stagione”) sono acquistabili in libreria, su amazon, su ibs, ma anche dallo shop online del Museo Egizio o dal sito dell’editore. La Banda delle Bende ha un suo sito, dove si trovano il meraviglioso trailer, le schede dei libri (con il primo capitolo di ciascuno), le descrizioni dei personaggi e pure un piccolo quiz, estratto dal rinomato Rischiathot.
Periodicamente, pubblico sul mio Tumblr un post che inizia con “Un universo parallelo in cui…”. L’anno scorso avevo raccolto tutti quelli del 2016, ora tocca a quelli del 2017. Mi sento molto Forattini, anche quest’anno e vorrei ringraziare il M5S che è sempre fonte di grande ispirazione.
Un universo parallelo in cui De Andrè è ancora vivo e rilascia interviste per difendere il suo amico Beppe Grillo.
Un universo parallelo in cui De André non è morto e ha fermato Beppe Grillo con un semplice “Beppe, ma che è ‘sta belinata del blog?”
Un universo parallelo in cui se in un talent show dici “io sono un/a guerriero/a” poi devi fare tutte le puntate con le mutande di peluche come i Manowar nel 1982
Un universo parallelo in cui il sindaco di Roma viene indagato e per prima cosa avvisa Beppe Grillo.
No, aspetta…
Un universo parallelo (?) in cui tutti gli eletti in un movimento politico devono sottoscrivere una polizza sulla vita a favore dei leader e se tradiscono vengono uccisi facendolo sembrare un incidente
Un universo parallelo in cui dieci anni dopo che Licia Colò ha liberato a Ostia dei granchi vivi trovati al Carrefour i kaiju attaccano Roma.
Un universo parallelo in cui la gente va su Facebook sperando di trovare simpatiche variazioni su “mai una gioia”
Un universo parallelo in cui una legge illuminata impedisce agli studiosi di avere più di una pubblicazione per ciascun anno solare, semplificando la vita a noi che dobbiamo compilare bibliografie
Un universo parallelo in cui la flat tax serve per attirare stranieri ricchi da rapire a scopo estorsione.
Un universo parallelo in cui la gente sfina con Photoshop le foto di Claudia Cardinale venten… ah, no.
Niente
Un universo parallelo in cui la foto di Salvini con la maglia di Trump di fianco al manifesto con il capo indiano è un fotomontaggio.
Un universo parallelo in cui le malattie hanno acquisito una coscienza e manipolano gli esseri umani perché si oppongano ai vaccini
Un universo parallelo in cui ogni settimana in Italia si sorteggia una persona e la si mette in carcere fino a che non dimostra di non avere mai fatto nulla per meritarselo. Con diretta sul sito del Fatto Quotidiano e pungenti corsivi di Travaglio
Un universo parallelo in cui un ultranovantenne Claudio Villa è il reuccio di Facebook, alla faccia di Gianni Morandi
Un universo parallelo in cui la Spagna concede l’indipendenza alla Catalogna ma si riannette la Lombardia
Un universo parallelo in cui tutti alla corte di Eternia sanno benissimo che He-Man è il principe Adam ma non dicono niente perché lo psicologo dice che se lui sta bene così è meglio continuare ad assecondarlo.
Un universo parallelo in cui un viaggiatore del tempo arriva a Greccio e spiega a quel tale, Francesco, le nefaste conseguenze sul lungo periodo della rappresentazione della Natività che sta allestendo.
Un universo parallelo in cui quando nasci in Italia da genitori italiani non acquisci la cittadinanza automaticamente ma la conquisti solo attraversando a piedi, armato solo di un gladio con il quale difenderti dai mutanti creati dagli esperimenti nucleari, il tunnel tra il Gran Sasso e il CERN
We are Motörhead and we are gonna kick your ass.
Lemmy si presentò così, sul palco del Gods of Metal 1999. Passò i 90 minuti successivi a mantenere la promessa.
A un certo punto, durante non so più che pezzo, dalla folla davanti a me sbucò una ragazza, bellissima, in canottiera e short di jeans, con appiccicato un attempato biker che la tampinava cercando di palparla a dodici mani (nonostante ne avesse una occupata da una lattina di birra). Lei, esasperata, si voltò e gli assestò una sacrosanta ginocchiata nelle palle così forte che nel backstage qualcuno deve essersi accasciato per il dolore. Lui mollò l’assalto per un attimo, mentre lei si dileguava. Poi si fece una risata, buttò giù una sorsata di birra e se tornò verso la mischia.
Credo che una scena del genere non potesse verificarsi che durante un concerto dei Motörhead.
(Born to raise hell sta lì perché è uno dei miei pezzi preferiti e credo che oggi Overkill o Ace of Spades siano dappertutto; e perché ricordo che sempre durante quel concerto quando la suonarono non riuscii più a capire se saltavo perché volevo farlo o perché mi stava tremando l’asfalto sotto i piedi)
Buon Natale (il panettone) è la settima canzone di Natale che i Keap (cioè io alla chitarra e al basso ed Enrico e Dario alla voce) pubblicano in sette anni.
Sette anni precisi, perché era il 21 dicembre 2009 quando pubblicammo la nostra prima canzone natalizia.
(attenzione, da qui in poi è tutto un trionfo di sguardo fisso sul mio ombelico)
Intanto che mi preparo all’ultima revisione di Gatto e Libertà, faccio mente locale su alcune cose che riguardano lo Spadaccino e, per comodità, le metto per iscritto.
La prima storia dello Spadaccino è nata più o meno per gioco.
Era un periodo che stavo leggendo parecchie cose di Robert E. Howard in inglese, nelle belle edizioni Del Rey, e avevo voglia di provare di nuovo a scrivere qualcosa del genere, molti anni dopo aver smesso di produrre brevi fan fiction di Solomon Kane (che non linko perché oggi mi sembrano piuttosto deboli e non riesco a leggerle senza vederne i difetti e solo quelli). Ma siccome scrivere fan fiction è un vicolo cieco e l’idea era di avere qualcosa di buono abbastanza da potere essere venduto come ebook, ho deciso di tenere quell’estetica ma spostare un po’ di paletti per creare un personaggio che fosse più mio.
Cosa voleva dire tenere la linea delle storie di Solomon Kane?
Se avete visto il film con James Purfoy, ecco: quello non è Solomon Kane (del film parlai qui) e quelle non sono le atmosfere di Solomon Kane o della sword and sorcery in generale.
Sono molto grato a Davide Mana (scrittore, autore di giochi e blogger) per avere spiegato molto bene questa cosa in suo post: Continua a leggere →
Una delle cose più fighe che ho fatto nel 2014 è stata pubblicare due ebook su Amazon. L’isola del Teschio a fine agosto e, un mesetto dopo, Colei che canta.
Era la prima volta che mi esponevo così come scrittore e devo dire che l’esordio è stato elettrizzante. L’isola del Teschio è piaciuto, ha delle buone recensioni su Amazon (e anche fuori) e ci sono possibilità di sviluppi interessanti. Il seguito (che in realtà è un prequel) ha avuto un impatto minore, ma anche lui si è guadagnato una recensione di tutto rispetto.
Mi sono incagliato sul terzo episodio.
Dopo due false partenze (una storia ambientata in Germania e una in Egitto) ho deciso di dare il via libera a una storia che pensavo di affrontare più avanti perché, sulla carta, molto più complicata di una semplice storia con il “mostro della settimana”. Invece, mi sono reso conto che questa storia che mi faceva paura era invece più facile da approcciare delle altre due e, per giunta, più facile da fare rientrare in quello che voglio sia il mood delle storie dello Spadaccino: non un fantasy storico ma storie di orrore sovrannaturale in cui l’irruzione del fantastico sia per certi versi vista, per quanto inevitabile, come una rottura dell’ordine naturale delle cose. Uno dei motivi per cui non so bene come riprendere un filone aperto nella storia viennese, tra l’altro.
Comunque.
Anche questa storia più facile è in realtà piena di insidie. Al momento il file “Spada 3 – scarti” è abbastanza lungo e contiene scene scritte ma che non andavano da nessuna parte, tenute da parte nella speranza di potere riciclare qualcosa. Dice: “Ma non potevi farti una scaletta prima di iniziare?” Certo, l’ho fatto, Ma quello che funzionava sulla scaletta non funziona messo in pagina, anche perché avere per scelta un protagonista cinico e disilluso non aiuta molto a fargli, per esempio, prendere parte delle parti in una questione politica.
Alla fine, però, credo di avere trovato la strada giusta e con un po’ di fortuna dovrebbe portarmi a destinazione.
Cosa ci sarà in questa nuova storia (che per ora si chiama “Gatto e libertà”)?
Ve lo dico per immagini.
Caro Sergio,
non ci conosciamo. Abbiamo brevemente chiacchierato di Tex all’inaugurazione di una mostra di fumetti che faceva parte della tua campagna elettorale nelle comunali bolognesi. Qualche tempo dopo, quando facevi il sindaco di Bologna e io lo stagista in un giornale, l’unica volta che mi mandarono a Palazzo D’Accursio, ti ho visto scambiare due battute con i cronisti e ho notato sorridendo che nella mazzetta dei giornali avevi l’ultimo Tex.
Insomma, non ci conosciamo ma ti do del tu perché tra gente che legge Tex ci si dà del tu.
Ti vorrei raccontare una storia, se hai due minuti. Secondo me li hai.
Qualche anno fa, era il 2009, tu non facevi più il sindaco di Bologna e io facevo lo scrutatore a Genova, per le elezioni europee. Ero in un piccolo seggio in una porzione particolarmente anziana e “rossa” di Genova, una città che, ormai lo saprai, è di suo parecchio anziana e parecchio “rossa”. Eravamo, come sempre capita ai seggi, una buffa squadra: c’ero io, c’era una ragazza che (CARRAMBA) era in classe al liceo con mio fratello minore, c’era un ragazzo che (CARRAMBA) era al liceo con me in un’altra sezione. E poi c’era un bizzarro über-italiano ultraquarantenne che viveva con la madre, non capivamo bene che lavoro facesse, stava con una ballerina dell’est ma odiava gli immigrati. Questo si era pure portato il computer e una chiavetta della 3 e di tanto in tanto si metteva a navigare. A un certo punto era andato a vedere il programma di Forza Nuova, poi è entrato qualcuno e lui è corso al tavolo a registrare i dati lasciando in bella vista il computer con su la schermata di Forza Nuova. Una delle sere mi ha chiesto se volevo un passaggio in auto per tornare a casa e sono tutt’ora convinto che se avessi accettato sarebbe finita tipo Il sorpasso di Dino Risi. Ma questa è un’altra storia.
Presidente di seggio era una signora, madre del ragazzo mio compagno di scuola, sulle prime molto cordiale. Si era portata da casa la macchina della Nespresso, per dire.
Poi questa signora ha iniziato a diventare un po’ inquietante.
Quel seggio era il “suo” seggio. Faceva la presidente lì da eoni. Senza problemi, ci raccontava di essere un’attivista del PD, aveva tutta una serie di reti di conoscenze a livello di quartiere per delle robe di orti per pensionati. Conosceva tutti quelli che venivano a votare.
Anziani, per lo più.
Come sempre, a passare tutto quel tempo insieme, finisce sempre che la gente si apra più di quanto sarebbe necessario. Quindi, oltre a sapere tutte le sue vicende famigliari (che francamente ne avrei anche fatto a meno), a un certo punto ho saputo che tutti i “suoi” vecchietti venivano a votare con il “santino” che lei aveva distribuito.
Immagino, Sergio, che tu sappia cosa sia il “santino”: è quel foglietto, tipo un biglietto da visita, che ricorda all’elettore come deve votare, quali preferenze indicare. È una roba un po’ antipatica, perché se c’è la lista e ci sono le preferenze l’elettore dovrebbe votare secondo coscienza e non secondo il partito.
Comunque, mi ha fatto vedere uno di questi santini.
Quando abbiamo iniziato a fare lo spoglio delle schede, oh, tu non hai un’idea di quante fossero le schede che votavano la lista del PD indicando esattamente quelle preferenze lì. E, lo avrai capito, il nome in cima alla lista era il tuo.
Non penso di starti rivelando chissà cosa. Lo sapevi tu per primo che il PD genovese era ben felice di mandarti al Parlamento Europeo per togliere di mezzo un ingombrante personaggio. Più o meno come altri erano ben felici di mandarti a fare il sindaco a Bologna per evitare che interferissi troppo con le sorti del PD nazionale.
A Strasburgo, una promozione che sa di rimozione (oltre che, lo dicevi anche tu, ottimo impiego part-time per potere seguire da vicino il tuo ultimo figlio), ci sei andato anche grazie a chissà quanti vecchini intruppati con il santino con il tuo nome in tasca. Vecchini che a me non sembrano così diversi dagli immigrati che, nella tua visione del mondo che già ci ha regalato l’indimenticabile racket dei lavavetri bolognesi, sarebbero andati a votare la tua avversaria in cambio di soldi. Oh, poi magari hai ragione tu, vallo a sapere. Però, ecco, io di quel giorno ai seggi mi ricorderò sempre perché mi ha insegnato una cosina o due sulle magagne del meccanismo elettorale.
Ma poi, forse, Sergio, non è nemmeno colpa tua. Sono le primarie che proprio non vanno. Guarda che teatro che è scoppiato a Modena quando hanno fatto quelle per il sindaco (sono modenesi, sono matti, se hai abitato a Bologna dovresti saperlo, ma tant’è…). Io una volta ho pure votato, a delle primarie. Per Scalfarotto, fai te. Però, più ci penso, più mi sembra assurdo che un partito o una coalizione possa pensare di demandare le sue scelte non ai suoi tesserati (come sarebbe logico, no?) ma, letteralmente, al primo che passa per strada e ha due euro che gli ballano in tasca. Secondo me dovreste pensarci un po’ bene, a questa cosa qua. Poi fate voi.
Comunque, chiudendo, lascia perdere. È andata così.
Bisogna saper perdere.
Non sempre si può vincere.
Non siamo mica tutti Tex.
L’isola del Teschio è da quasi un mese sul Kindle store.
Nell’immediatezza dell’uscita mi ha dato alcune soddisfazioni, tra cui un posizionamento inverosimile nella classifica dei “prodotti del momento” davanti alla Bender che quello stesso era tra i tre ebook dell’offerta lampo.Per non dire di alcuni piazzamenti inconsulti nella classifica horror generale, tipo quando mi sono trovato davanti a Edgar Allan Poe e alle spalle di una trilogia paranormal romance. Continua a leggere →
Mentre i post sul Giappone ancora faticano ad arrivare alla conclusione (nuovo record dalla fine del viaggio), al volo, due parole sui tre giorni a mezzo a Istanbul di questa estate.
Il muezzin
La funzione del muezzin è la stessa delle campane per noi: richiamare i fedeli alla preghiera, ricordando allo stesso tempo “Attilio Lombardo pelato bastardo”. Ma laddove l’occidente cristiano ha elaborato una semplice melodia, nell’Islam la frase è attraversata da trilli, melismi, colpi di glottide e logorrea. Il tutto amplificato da altoparlanti gracchianti. E a botta e risposta. Che tipo se ti trovi tra Santa Sofia (che ha un minareto funzionante) e la Moschea Blu all’ora della preghiera improvvisamente rischi l’infarto. Poi inizi a domandarti quanto dura l’introduzione a questo pezzo metal e quando partono le chitarre.
Quando poi alle quattro ti sembra di avere un muezzin in camera di albergo, un pochino rivaluti certe cose della Fallaci. E le campane della chiesa vicino casa tua che tutto sommato sono molto discrete.
I dervisci rotanti
È inutile girarci attorno (battuta!), il potenziale comico dei dervisci rotanti è in una parola sola devastante. Non tanto quando sono impegnati a derviscioroteare, che sono una cosa troppo bella per fare pensare ad altro (a meno che tu non sia un idiota alticcio come lo spagnolo che avevo di fianco, che ha passato tutto il tempo a chiacchierare con la compagna, sbuffare e battere il ritmo fuori tempo agitando un depliant per farsi aria), ma prima. Quando si presentano con addosso una mantella scura appoggiata alle spalle, gli alti cappelli di feltro, alcuni la barba, sembrano usciti dritti dritti da quelle storie pazzesche in cui Rodolfo Cimino spediva Paperone e nipoti in improbabili paesi dell’Asia minore alla ricerca di tesori custoditi da personaggi del genere.
Il giovane Emanuele De Rocchi, cieco da anni, è l’ultimo erede di una famiglia nobile, dopo la tragica morte dei genitori. Per inventariare le opere d’arte della collezione in vista della messa in vendita, una giovane ricercatrice, Gloria, accetta di trasferirsi per qualche giorno alla villa di campagna dei De Rocchi.Ma la scoperta di una […]
Accompagnato da una serie di polemiche dovute in egual misure alla cattiva fede e alla disinformazione, su Netflix è disponibile da gennaio la serie Lupin, che non è un live action del Lupin III di Monkey Punch (che esiste e sembra orribile, almeno ai miei occhi occidentali) e nemmeno un remake moderno delle avventure del […]
Poco prima dell’inizio del lockdown, ho fatto in tempo a vedere stampati i quattro nuovi titoli della Banda delle Bende, la collana di storie d’avventura per giovani lettrici e lettori che scrivo per Franco Cosimo Panini Editore (con una preziosa approvazione del Museo Egizio di Torino). Avevo già parlato dei primi quattro titoli, ora tocca […]
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