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The catcher is on the table

La mia professoressa di inglese del triennio del liceo io non la sopportavo.
Era una di quelle persone nate negli anni cinquanta che avevano iniziato a vestirsi e pettinarsi in un dato modo (la frangetta, la gonna scozzese al ginocchio, la camicetta) attorno al 1965 e che da allora non hanno mai cambiato stile. Così tu te la immaginavi che tornava a casa e continuava a sospirare su una foto di Paul McCartney* ascoltando And I love her. Più in generale, era una persona scioccamente vendicativa nei confronti degli studenti e con una netta preferenza per la stolida ripetizione a pappagallo rispetto al ragionamento, quando si parlava di letteratura inglese. Quando le nacque il secondo figlio*** fui l’unico a non mettere una lira per non so quale regalino e a non firmarle il biglietto. Perse ogni mia stima quella volta che citai l’esistenza leggendaria di Ned Ludd in un compito in classe sulla rivoluzione industriale e lei mi chiese perché mi fossi inventato quell’origine del termine Luddismo.
Più in generale, detestavo la sua fissazione per la letteratura vittoriana, e la capacità di rendere noioso e inoffensivo praticamente qualsiasi testo che ci toccasse leggere.
C’era una cosa sola nel libro di testo che era riuscita a resistere intatta alla mortificazione scolastica. Ed era un brano del Giovane Holden.
Mi ci ero imbattuto per caso sfogliando il libro durante un’interrogazione, dopo che mi ero stufato di fare la controscena a una compagna di classe interrogata, tenendo il segno e annuendo mentre lei ripeteva quasi parola per parola non so che scheda su non so quale romanzo di Jane Austen. Ero lì che sfogliavo e di colpo, bam!, inizio a leggere questa cosa che, ehi, stava parlando a me. Stava parlando a me come da quarant’anni era lì che parlava a tutti gli adolescenti annoiati, arrabbiati e insofferenti di quella parte di mondo in cui puoi permetterti di essere un adolescente. Devo avere controllato un paio di volte che fosse lì sul serio, che non me lo fossi immaginato. Sembrava qualcosa capitato lì in mezzo per un errore, per un sabotaggio:

If you really want to hear about it, the first thing you’ll probably want to know is where I was born, and what my lousy childhood was like, and how my parents were occupied and all before they had me, and all that David Copperfield kind of crap, but I don’t feel like going into it, if you want know the truth.

Oh, certo, avevo già letto il Jack Frusciante di Brizzi, che al vecchio Holden fa più che un paio di riferimenti. Però trovarsi davanti the real thing, in un libro scolastico, era tutta un’altra cosa.
Il giovane Holden è stato l’unico libro che abbia mai preso dalla biblioteca della scuola, qualche giorno dopo. Mi sembrava giusto. L’edizione Einaudi costava troppo per le mie tasche, natale o compleanno erano troppo lontani.
Mentirei se dicessi che la lettura di Salinger mi ha cambiato la vita. Ricordo di avere letto il libro molto di fretta, in mezzo a mille altri scazzi dell’età, forse con l’ansia di riconsegnarlo in tempo.
Però quando oggi ho letto che Salinger è morto (“Uh, era ancora vivo?”) mi è tornata in mente quell’eccitante scoperta fatta tra le pagine di un libro scolastico, quel giorno in cui la scrittura ha operato la sua magia, il suo essere – come dice Stephen King – trasmissione a distanza del pensiero.

* chiaramente parteggiava per il perfido Macca, perché quando ci fece vedere in lingua originale Forrest Gump – che senza Tonino Accolla di mezzo è un film molto più bello – fui l’unico tra tutti, lei inclusa, a ridere quando Forrest ispira a John Lennon** il testo di Imagine.
** poiché tutto è collegato, Mark Chapman aveva con sé una copia di The Catcher in the Rye quando ha sparato a John Lennon.

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