Il Giappone è proprio come lo disegnano, ep. 9: molte grazie, signor robot! Inchinatevi al suo cospetto e chiedete perdono delle vostre malvagità!!

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Ora, come tutti sapete, la cosa più bella di Tokyo è il Gundam a grandezza naturale collocato a Odaiba.
Odaiba è un’isola artificiale che sorge nella baia di Tokyo, dove un tempo sorgevano fortezze che dovevano difendere la città dagli attacchi dal mare (con grande tempismo, costruite dopo che gli americani erano arrivati a bussare da quelle parti con quattro cannoniere al comando dell’ammiraglio Matthew Perry – non Chandler di Friends, l’altro).96 95Non è un caso che il Gundam si trovi proprio qui perché è ovvio che il livello maniacale di realismo fin nei più intimi dettagli è come la famosa lettera rubata del racconto di Poe: serve cioè a mascherare, mettendola in evidenza, la realtà dei fatti. E la realtà incontrovertibile è che il Gundam è perfettamente funzionante e pronto a entrare in azione. Lo spettacolino a cui si può assistere ad alcune ore del giorno, con fumi, musiche, luci e il Gundam che muove la testa è un ulteriore specchietto per le allodole.
La bellezza e follia di questo modellino 1:1 è tale e tanta che il pellegrinaggio fino a Odaiba vale la pena anche se, come me, di Gundam sapete giusto GUNDAM! DAN DAN! GUNDAM DAN DAN! GUNDAM GUNDAM OH-O!
In generale, tutta l’isola di Odaiba è un posto abbastanza peculiare, con i suoi centri commerciali, la sede della Fuji TV e alcune attrattive tipo la Statua della Libertà (in scala). È anche uno dei pochi posti a Tokyo dove c’è una spiaggia.
97Dentro uno dei centri commerciali c’è un luna park / sala giochi della Sega, Joyland, nel quale si trovano, oltre a orde di coin-op, versioni in grandissimo dei videogiochi cabinati. Tipo: un gioco di skateboard al quale giochi imbragato in una specie di strumento di tortura all’interno di un enorme half-pipe con i binari. Oppure un ottovolante nel quale prima devi sparare a robe che appaiono sugli schermi che hai attorno e poi ti trovi sparato in avvitamenti vari. All’interno di un edificio.
Nella toilette dei signori, gli orinatoi permettono di giocare con la propria pipì, nel senso che ci sono dei sensori che registrano la portata e la durata del flusso e lo usano per dei giochini che si svolgono sullo schermino montato sopra all’orinale. Alla fine, è anche possibile trasmettere il punteggio su FB (e probabilmente anche a un urologo).

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Appena saliti sul trenino che porta a Odaiba (una di quelle buffe linee senza pilota come la metropolitana di Torino, che permette di mettersi davanti e godersi la vista frontale del parcheggio), ho scorto un paio di zampe e una torretta che sembravano uscite direttamente dal castello di Howl. Al ritorno, ci siamo fermati una stazione prima del capolinea e, sorpresa, ci siamo trovati davanti all’orologio meccanico progettato da Miyazaki per la NTV, una rete televisiva privata giapponese. Largo 18 metri e alto 12, l’orologio batte le ore tre o quattro volte al giorno con uno spettacolino di qualche minuto:

Una descrizione dettagliata dell’orologio la si può trovare qui (e comprende anche gli orari).
Come spero si intuisca dal video e dalle foto al link, lo spettacolo vale l’attesa e il viaggetto fino a Shiodome, dove si trova pure un negozietto con parecchia roba Ghibli.

Un'altra attrattiva del quartiere sono queste buffe panchine

Un’altra attrattiva del quartiere sono queste buffe panchine.

Uno dei luoghi sacri più rinomati del Giappone è Nikko, a 150 chilometri da Tokyo, che ospita un vasto complesso di templi e cappelle voluti dalla famiglia Tokugawa, il cui simbolo è riportato su questa cosa qua sotto, che dovrebbe dire qualcosina ai 35-40enni in lettura.

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L’invincibile shogun, lo ricorderete, era quel cartone animato in cui un anziano shogun andava in giro in incognito per i suoi possedimenti con un armadio quattro ante, un tizio normale e un molesto bambino, arrivando regolarmente in villaggi amministrati da uomini crudeli al cui confronto ISIS era Disneyland. Dopo avere osservato per una ventina di minuti angherie di ogni genere, lo shogun lanciava la fascia della forza al suddetto forzuto, in una scena che tutti abbiamo cercato di replicare almeno una volta nella vita con la cintura dell’accappatoio:

Dopo un po’ di mani in faccia l’altro tira fuori l’emblema dello shogun e tutti si pentono e chiedono perdono. Quarantasei puntate tutte così.
Comunque. Il protagonista Mitsukuni Mito (che fino a che non ho guardato su Wiki ero convinto si chiamasse Mitsu Kunimito) non era in realtà uno shogun ma un semplice daimyo, Tokugawa Mitsukuni daimyo appunto di Mito; suo nonno era Ieyasu Tokugawa, fondatore nel 1603 dell’ultimo shogunato del Giappone, che si concluse nel 1868. 

Da un bassorilievo in uno templi di Nikko ha avuto origine la fortuna iconografica del tema delle tre scimmie omertose, che sono in realtà un antico precetto buddista (o confuciano): non ascoltare malvagità, non pronunciare malvagità, non osservare malvagità. 

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Poco lontano dai templi si trova una breve passeggiata inquietantissima.
Quelli che vedete qui sopra sono dei jizo, divinità buddiste molto amate in Giappone che, oltre a prendersi cura dei viandanti, sono i protettori dei bambini morti prima dei loro genitori. Le loro anime sono infatti incapaci di attraversare il fiume che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, non avendo avuto tempo per compiere buone azioni a sufficienza nella loro breve vita. Per espiare, devono impilare pietre per l’eternità, a meno che un jizo non li aiuti nascondendoli sotto il mantello, per esempio. Per questo motivo, di solito si lasciano pietre alle statue dei jizo, perché possano aiutare i bambini nell’aldilà (o non-aldiqua) e sempre per questo motivo le donne si prendono l’incarico di vestire e accudire le loro statue, a volte anche con oggetti appartenuti ai figli defunti.

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Questa fila di jizo si trova giustappunto sulle rive di un torrente che scorre alla destra della foto, nella gola del Kanmangafuchi, il che diventa un po’ sinistro, dopo che hai letto del loro ruolo.
Ma la cosa buffa è un’altra: quanti sono?
La Lonely Planet riporta la leggenda locale secondo la quale se li conti all’andata e al ritorno ottieni due numeri diversi.
“Ah, ma figuriamoci!” ha detto Lucilla, prima di contarne (con l’attenzione di un membro del CICAP o giù di lì) X all’andata e X-1 al ritorno.

つづく

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