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Perdersi a Roma con Mercurio Loi

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Disegni di Sergio Gerasi

Mercurio Loi, serie a fumetti pubblicata da Sergio Bonelli Editore e scritta da Alessandro Bilotta, a prima vista potrebbe sembrare semplicemente una rilettura di Sherlock Holmes con un’ambientazione un po’ particolare, come la Roma papalina degli anni venti dell’Ottocento. Il protagonista è un professore universitario, di mente acutissima, che si diletta nel vagare per Roma e nel risolvere enigmi.
In realtà, la somiglianza è solo superficiale, perché la Roma di Bilotta è un palcoscenico quasi surreale, attraversato da una vena di follia che sembra coinvolgere tutti, e le “investigazioni” di Mercurio Loi lo portano spesso a confrontarsi non con la logica ma con l’imponderabile, l’imprevedibile, il simbolico. Piuttosto, la serie sembra a volte quasi una bizzarra rilettura delle avventure di Batman, ma più quelle televisive che quelle, più cupe, cinematografiche. Di tanto in tanto, Mercurio e il suo assistente discutono di qualche mistero mentre sono impegnati in disinvolte scazzottate con improbabili bande criminali, come quella dei fiorai. Per non dire del quinto numero della serie regolare (il personaggio ha esordito con un “numero zero” nella collana Le Storie, poi ristampato in volume di grande formato), “L’infelice”, nel quale l’antagonista è un Joker al contrario, i cui articolati piani hanno lo scopo di condurre la vittima, appunto all’infelicità.
Bilotta, che è uno degli autori più efficaci al momento in forza alla Bonelli, se non il più efficace in assoluto (la sua serie parallela portata avanti sugli speciali annuali di Dylan Dog, con l’Indagatore dell’Incubo invecchiato in un mondo di zombi, è la cosa migliore sull’Old Boy uscita da parecchio tempo), serve il tutto con una scrittura fumettistica che sta diventando di numero in numero sempre più disinvolta e sempre più lontana dagli “standard” a cui uno pensa quando pensa a casa Bonelli. In questo, Mercurio Loi non colma tanto il vuoto lasciato da una serie come Volto Nascosto (romanzo storico-avventuroso a cavallo tra Roma e le colonie africane di fine Ottocento) ma quello dei personaggi di Carlo Ambrosini, Napoleone e poi Dix, che nascondevano sotto a una struttura investigativa un approccio molto più riflessivo ed esistenziale.
Anche le copertine acquarellate di Emanuele Fior (autore di suggestivi volumi come Cinquemila chilometri al secondo) sono parecchio lontane dalla tradizione bonelliana – che pure conosce e ha conosciuto le sue eccezioni – e indicative della volontà di fare altro.

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Copertina di Emanuele Fior

Tutto questo esplode nel numero di novembre 2017, A passeggio per Roma, che recupera una forma narrativa che su un albo Bonelli non ricordo di avere mai letto: la storia a bivi. Di storie a bivi avevo parlato in occasione della morte di Bruno Concina, che aveva portato il concetto sulle pagine di Topolino, e faccio prima a citare da lì:

La prima storia a bivi è del 1985, lo stesso anno della pubblicazione in Italia dei libri-game di Lupo Solitario di Joe Dever, ma la coincidenza temporale è, appunto, solo una coincidenza.
I libri-game di Dever sono, in sintesi, il tentativo di rendere giocabili in solitario le tipiche avventure del gioco di ruolo: il lettore-giocatore si muove all’interno di un’impalcatura narrativa ben definita, esplora un mondo di cui vede solo quello che le sue scelte gli permettono di vedere. Ci sono diversi finali che sono però solo differenti gradi di successo.
Concina invece non era giocatore e le storie a bivi sono qualcosa di più radicale, dal punto di vista testuale: le scelte del lettore non esplorano un mondo prefissato bensì danno vita a storie differenti. Credi che i rumori al piano di sopra siano opera di u fantasma? Ecco, c’è il fantasma (oppure non c’è). Ti è piaciuto questo finale? No? Ok, torna indietro e fai un’altra scelta. Visto? Il fantasma non c’è (oppure c’è).
Le storie a bivi erano un modo per fare esplodere una storia con la collaborazione del lettore, un’applicazione pratica e ludica delle teorie testuali che avrei trovato un giorno spiegate nel Lector in Fabula di Eco.

Bilotta, accompagnato ai disegni da Sergio Ponchione, con i colori di Nicola Righi, fa un ulteriore passo meta-testuale e gioca sia con le aspettative del lettore di storie a bivi sia con quelle del lettore di libri-game, usando il meccanismo per amplificare la potenza di una storia che parla sì di scelte ma anche di ineluttabilità. A un certo punto, al lettore è consentito di soddisfare i desideri del personaggio e farlo entrare in un loop che lo estranea da ciò che stava inseguendo. Alla fine della lettura si capirà che quel loop è ancora più agrodolce di quanto già non sembri. Un’altra particolarità è che la storia può anche essere letta in sequenza, ignorando i bivi (o meglio optando sempre per la scelta che porta alla pagina successiva); solo in questo modo è possibile avere un quadro completo della storia e chiarirsi certi passaggi.
Una storia fatta per essere letta, o meglio percorsa più volte, smontandola e rimontandola, che ha al suo centro il tema del doppio, della scelta, dell’essere intrappolati in un cerchio. Esattamente quello che succede al lettore, che è chiamato a diventare Mercurio.
Fino alla fine.
In tutti i sensi.

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I lettori di fumetti sono quasi tutti, segretamente, dei direttori vendite e passano un sacco di tempo a ipotizzare quanto venda una serie e quanto potrà durare.
Per le cose che mi piacciono molto, non faccio eccezione neanche io: anche se non ho idea di quanto venda Mercurio Loi, temo che sia il genere di prodotto che in edicola non venderà mai abbastanza per sopravvivere a lungo. Spero di sbagliarmi e che Bilotta possa continuare a sfornare storie del genere per molti anni a venire.
Intanto, però, la cosa migliore da fare è cercare di convincere più persone possibili a comprare Mercurio Loi, sperando che poi continuino a farlo.

ps: un’altra bella serie di Bilotta era Valter Buio. Poteva sembrare un clone di Dylan Dog (uno psicanalista romano che “cura” i fantasmi essendo l’unico a poterli vedere) e invece si è immediatamente dimostrata qualcosa di diverso e molto più personale. Uscita in dodici albi, è stata di recente ristampata su quattro volumi da libreria.

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Gente di mare – fumetti con salsedine

Copertina di Stefano Turconi

Copertina di Stefano Turconi.

L’inizio della promozione sul catalogo di Bao Publishing mi sembra il momento giusto per parlare di una storia a fumetti che parla di mare e che probabilmente, se non fossi andato al mare, non avrei mai preso in considerazione.
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Bonelliana, marzo 2015 (Adam Wild, Ringo, Le Storie, Nathan Never, Coney Island, Dylan Dog Magazine, Dylan Dog, Dylan Top)

Bonelliana: opinioni non richieste sui fumetti Bonelli che seguo.
Questo mese con un bonus.

Copertina di Darko Perovic - Adam Wild 6

Copertina di Darko Perovic

Adam Wild 6, “L’incubo della giraffa”
(Gianfranco Manfredi – Paolo Raffaelli)

In Africa, si sa, la mattina come ti svegli tocca correre. Ma correre è difficile se hai perso una gamba andando a caccia di giraffe. E ancora peggio, se la notte sogni la giraffa per colpa della quale ti hanno dovuto mozzare una gamba, che forse è una specie di spirito malvagio.

LUCIDISSIMO.

LUCIDISSIMO.

Il sesto episodio di Adam Wild abbandona per un po’ la lotta agli schiavisti per buttarsi in una storia che forse vira sul sovrannaturale e forse no, ispirata alla mitologia africana. Se l’idea di una giraffa in fiamme, come si vede in copertina, può sulle prime fare un po’ sorridere, lo svolgimento della storia, supportato dai bei disegni nervosi di Raffaelli, vira verso atmosfere cupe appena stemperate dal conte Molfetta, qui in veste di più canonica spalla. Tra le cose che si imparano: la giraffa è una bestiaccia feroce – del resto pure lei tutte le mattine deve alzarsi e correre, chi non diventerebbe nervoso? – che si batte con i suoi simili usando la testa come un maglio. Se poi volete dedicarvi alla sua caccia, un metodo tradizionale è quello di sgarrettarla da cavallo. Dagli organi della giraffa si ricava un potente allucinogeno.


 

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Copertina di Emiliano Mammuccari

 

Orfani: Ringo 6, “Come pioggia”
(Roberto Recchioni, Mauro Uzzeo – Alessio Avallone – Nicola Righi)

Prosegue il viaggio di Ringo, Rosa, Nuè e Seba (una/o dei tre è suo figlia/o ma non sappiamo chi) in un’Italia post-apocalittica. Questa volta il trio fa tappa da qualche parte nell’Appenino tosco-emiliano per un numero di riflessione e di approfondimento psicologZZZZZZZZZZ Continua a leggere

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Bonelliana, febbraio 2015 (Adam Wild, Dampyr, Dylan Dog, Tex, Julia, Ringo, Le Storie)

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Provo a ridare vita a una rubrica regolare: nasce oggi Bonelliana, che si occuperà degli albi Bonelli letti nel mese passato.
Perché solo i Bonelli? Perché ne leggo diversi, da quasi quindici anni, e trovo interessante la fase nuova che si è aperta nella casa editrice dopo la morte di Sergio Bonelli (a proposito, qui si può scaricare l’ebook collettivo che assemblai su di lui).
Quindi è una roba un po’ da fanboy. Astenersi “i fumetti Bonelli sono tutti copiati”, “Dylan Dog è finito con il numero 100”, “Kit Carson mica era quello lì” e via dicendo.

Copertina di Darko Petrovic

Copertina di Darko Petrovic

Adam Wild 5, “La terza luna”
(Gianfranco Manfredi – Antonio Lucchi)

In appena due numeri, AW è diventato una delle mie serie irrinunciabili. Dopo la pesantezza di Shangai Devil, Manfredi ha azzeccato un personaggio sopra le righe, che riesce a essere il classico eroe tutto d’un pezzo senza sembrare anticaglia da museo. Merito probabilmente della cura con cui è ricostruita l’Africa ottocentesca e del cast di comprimari, su cui spicca il nobile italiano Narciso Molfetta, figura che come già Poe in Magico Vento esula dai tipici doveri della spalla bonelliana senza però distaccarsi completamente da quel ruolo. Per farla breve, questo quinto numero conferma quanto di buono visto finora: una storia lineare ma trascinante, cattivi facilmente identificabili, azione, violenza e nozioni storiche. Ai disegni, Lucchi si produce in un esordio poderoso e dinamico, forse fin troppo: il suo stile si distacca da quello più realistico visto finora nella serie e avrebbe fatto faville su una serie più “guascona” come Long Wei.
Però niente da dire: we want more.

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Un ebook per Sergio Bonelli

Immagine di Vittorio Tolu

Come promesso, ecco l’ebook collettivo su Sergio Bonelli, che oggi avrebbe compiuto 79 anni.
Si può comodamente scaricare in pdf, epub o mobi.
Grazie a chi ha condiviso i suoi ricordi e i suoi pensieri. E grazie anche a chi non ha partecipato ma ha diffuso l’appello.
Se per caso questi testi facessero venire voglia a chiunque di buttare giù qualcosa, si può sempre fare la seconda versione :-)

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E venne il giorno: un ebook dedicato a Sergio Bonelli (call for papers)

La mailing list Ayaaaak vuole realizzare un ebook collettivo (da diffondere gratuitamente con licenza Creative Commons) dedicato a Sergio Bonelli.
Avete un ricordo su di lui, sui suoi albi, sui suoi personaggi?

Se sì e se se volete partecipare, inviate i vostri contributi (in un qualunque formato di testo, non in pdf e non nel corpo della mail) a buonipresagi[at]gmail[punto]com, indicando “BONELLI” nell’oggetto. Per favore, cercate di stare sotto i 5000 caratteri spazi compresi e indicate un titolo e il nome con cui volete firmare il vostro contributo. Inviate il testo nella forma più compiuta possibile: ci sarà ovviamente un lavoro di controllo e correzione dei refusi, ma partire da un testo curato è meglio per tutti. Chi volesse contribuire con un’illustrazione tenga presente che il formato del libro è un A5 verticale.

Siccome sarebbe bello riuscire a pubblicare tutto il 2 dicembre, data di nascita di Sergio Bonelli, la deadline per l’invio dei testi sono le 23:59 del 13 novembre 2011 (ma non siate timdi, se avete ritardato magari un posticino lo si trova anche senza aver prenotato)

Partecipate numerosi/e e, se volete, spargete la voce.

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Sergio Bonelli, Guido Nolitta

Il mio primo albo Bonelli.
Era il luglio del 1988, avevo quasi nove anni e mi ero storto un piede in un modo così stupido che non lo rivelerò neanche sotto la minaccia di venire lasciato da solo con Tiger Jack e il suo coltello.
Mia nonna mi portò un numero di Tex per farmi passare il tempo. Chissà perché. Forse era andata in edicola e si era stupita di trovare ancora un fumetto che leggevano i suoi, di figli (narrano leggende di famiglia che mio zio avesse ricopiato con sorprendente fedeltà il frontespizio di Tex con i quattro pard sulla sua scrivania, da ragazzo). Quale che fosse il motivo, io inizio a leggere e la testa, tipo, mi esplode.
Abituato a Topolino e, al massimo, al Giornalino, per la prima volta mi trovavo tra le mani un fumetto in cui il protagonista ammazzava gente senza porsi grossi problemi. Anzi: ci scherzava pure su.
Nelle ultime 40 pagine dell’albo inizia una storia straordinaria, ambientata in una missione abbandonata della California del sud, “La maledizione di Escondida”. Imparo tutto quello che c’è sapere di spagnolo: sangre y muerte, maldido, vamos, bruja, amigos, hasta luego hombre.
Poche settimane dopo parto con la mia famiglia per gli Stati Uniti: California, Arizona e Colorado. Vorrei avere un Winchester, una camicia gialla, sparare a candelotti di dinamite protetto dalle rocce.
Leggo Tex ancora per un annetto buono, poi non so perché smetto. Un paio di anni dopo comprerò il mio primo Dylan Dog. Ma questa è un’altra storia.

Sergio Bonelli, con il giubbotto di Mister No, visto da Leo Ortolani

Casualmente, il luglio del 1988 è anche la data in cui nasce “ufficialmente” l’etichetta “Sergio Bonelli Editore”. Fino ad allora, infatti, la casa editrice, fondata da Gian Luigi Bonelli nel 1940 e portata avanti prima dall’ex moglie Tea e poi dal figlio Sergio, aveva avuto altri nomi (Audace, Cepim, Daim Press, tra gli altri). È solo nell’estate del 1988, dopo 31 anni che dirige la casa editrice, che gli albi pubblicati da Sergio Bonelli iniziano a portare il suo nome.
Come editore, Bonelli ha pubblicato più o meno di tutto. Tantissime serie hanno avuto vita breve, ma non si può dire che non abbia lasciato nulla di intentato; basta vedere la cronologia sul sito. E basta guardare la sezione fumetti di un’edicola per rendersi conto della potenza di una casa editrice che ha di fatto imposto un formato (quello “bonelliano”, che nasce dalla sovrapposizione di tre albetti a striscia) all’intero mercato. Una casa editrice che ha portato sempre avanti una politica che non si può che definire con l’abusata (ma in questo caso veritiera) formula di “innovazione nel rispetto della tradizione”.
In Bonelli i cambiamenti sono fatti a passi piccoli, quasi minimi. Ma alla lunga accadono: guardate gli anni Novanta e Duemila e pensate che è in cantiere la prima miniserie interamente a colori, una cosa che ancora qualche anno fa sembrava inconcepibile per una casa editrice che si identificava con il bianco e nero e usava il colore solo per i numeri celebrativi o per occasionali progetti speciali (gli albi di Cavazzano e Bonvi, per esempio o Leo Pulp). Senza dimenticare che in passato erano state varate collane “d’autore” come “Un uomo un’avventura” o la collana dei Texoni, che doveva ospitare grandi disegnatori esterni alla casa editrice (che adesso si alternano con artisti “di casa” per cui è un po’ come venire chiamati a giocare in nazionale). E che Bonelli rilevò una casa editrice come L’Isola Trovata, che pubblicava cose con un taglio decisamente differente dai suoi albi.

Ma in cosa consiste, di preciso, la “tradizione” bonelliana?

Tex in azione

Uno sarebbe portato a pensare che nasca, per questioni di anzianità, dalla formula di Tex. In realtà no. Tex è stato creato da Gian Luigi Bonelli, padre di Sergio, che al fumetto ci arrivò un po’ come ripiego dalla narrativa. Tex è un personaggio che si rifà in linea diretta alla tradizione del romanzo avventuroso, da Dumas (Tex e i suoi pard sono come D’Artagnan e i moschettieri) a Salgari (per il fascino delle ambientazioni esotiche). Ha le sue suggestioni che vengono da altri generi (maghi, morti viventi, alieni, improbabili eredi dei conquistadores, dinosauri – per ben due volte) ma è nel complesso una serie che ha lasciato un’eredità nella casa editrice che si ritrova in poche serie (Dampyr, per esempio, ha un che di texiano nella composizione della squadra dei protagonisti); anche perché è talmente irripetibile la personalità del suo creatore che persino chi è riuscito dopo di lui a scrivere un buon Tex ha comunque dato sfumature diverse alle storie. Tex è una roccia, spara sempre dritto e non ha mai avuto un dubbio che sia uno (al massimo sul modello di Colt più adatto a una determinata missione) – e sono da ritenere immaginarie eventuali storie in cui viene catturato al lazo, per esempio.
Il canone bonelliano che conosciamo oggi nasce invece dal secondo personaggio più longevo della casa editrice, Zagor, creato da Guido Nolitta nel 1961. Chi sia Nolitta è presto detto: è lo stesso Sergio Bonelli, che per evitare confusioni con il padre si scelse uno pseudonimo. In Zagor, il protagonista è affiancato da un personaggio radicalmente diverso da lui (Cico, un messicano pigro, truffaldino e ghiotto che funge da spalla comica; ma la regola generale è di avere un personaggio secondario caratterizzato in modo complementare a quello principale) e ha un carattere per alcuni versi ambiguo: difende gli indiani ma li inganna facendosi credere una specie di divinità (“Lo spirito con la scure”) e ha ucciso gli indiani che avevano assassinato suo padre, prima di scoprire che in realtà il padre era stato uno sterminatore di indiani che meritava la morte.

Una storia classica di Tiziano Sclavi

Molto più che Tex, Zagor è un vero calderone di generi diversi, in cui Nolitta ha versato tutte le suggestioni del cinema, dei fumetti, della letteratura, con cui è cresciuto e con cui veniva in contatto. E questo è un tratto che è rimasto forte nell’identità delle serie successive pubblicato da Bonelli, anche se non sempre con risultati positivi: pur da grande ammiratore della casa editrice, mi rendo conto che il suo limite maggiore è quello di non essere mai riuscita a dare vita a un immaginario inedito – come ha saputo fare uno Stan Lee, per esempio – preferendo invece nutrirsi di stimoli esterni rielaborati. In questo senso, Dylan Dog è l’erede più diretto di questa tradizione zagoriana, così come Martin Mystère. E che la formula di Zagor funzioni benissimo lo dimostra il fatto che dopo 50 anni il personaggio gode ancora di buona salute e si presta, per esempio, alle poderose contaminazioni con l’immaginario howardiano e lovecraftiano a cui lo sottopone Mauro Boselli (che è incidentalmente anche uno dei migliori autori all’opera oggi su Tex).
Come autore, Nolitta ha anche realizzato il primo fumetto della Bonelli ambientato non più nel west (a dire il vero Zagor sarebbe un “eastern”, ma il concetto è quello) ma “quasi” nel presente: Mister No. Ex pilota dell’esercito americano rifugiatosi a Manaus a fare il pilota di aerei turistici nei primi anni cinquanta, Jerry Drake è il primo vero anti-eroe bonelliano: uno che non va a cercarsi l’avventura ma uno a cui capita di venire tirato in mezzo e che cerca di uscire con la pelle intatta.

Il Piper di Mister No

Il primo numero, del 1975, inizia con una lunga sequenza (una trentina di pagine almeno) in cui si aggira per Manaus con il solo scopo di trovare una bottiglia di whisky decente visto che per il ritardo di un battello in città si trova solo della cachaça. Una scena che in Zagor era forse accettabile con Cico, ma che qui è la presentazione del protagonista della serie. Drake beve, prende botte dalla polizia, ha una fidanzata in ogni bar, ha come amico un ex soldato della Wermacht (che per sfottere chiama Esse-esse), spesso si trova contro a suoi connazionali e ai loro tentativi di arricchirsi calpestando la gente del posto. È un personaggio in cui Bonelli mette il suo amore per i viaggi e per un mondo che stava scomparendo, con echi di anti-imperialismo.
In pratica è come se Bonelli aprisse delle porte ai suoi autori, allargando lo spettro delle cose che potevano far fare ai loro personaggi. Ken Parker inizierà a portare più avanti e rendere più espliciti i discorsi politici, Martin Mystère è finalmente ambientato nel presente, Dylan Dog nel quinto numero mette in scena il legittimo massacro del consiglio d’amministrazione di un’azienda da parte del protagonista… (sia in Martin Mystère sia in Dylan Dog sono stati inseriti prima o poi degli espliciti riferimenti a Mister No; in particolare in Ananga Tiziano Sclavi scrisse il seguito di una sua storia per Mister No, inserendovi anche un cammeo di Martin Mystère).

Nei prossimi giorni, o forse già mentre scrivo queste righe, qualcuno romperà il coro di lodi per Sergio Bonelli e, non necessariamente senza tatto, parlerà anche dei suoi difetti come editore, della sua difficoltà a stare al passo con i tempi, dell’immobilismo, dei fallimenti, del buonismo. Per certi versi è anche giusto: le persone non sono cristalli perfetti, hanno anche i loro difetti.
Però siamo sempre tutti bravi a dare addosso, sminuire, trovare difetti.
Per una volta prendiamoci un po’ di tempo per celebrare una persona che ha diretto per cinquant’anni una delle più importanti industrie culturali di questo paese, i cui fumetti tutti prima o poi abbiamo letto e il cui formato, quelle 96 pagine “a quaderno”, è quello che associamo ai fumetti. Uno dei rari casi di leader di mercato che tratta economicamente i suoi dipendenti meglio della concorrenza.
Uno sceneggiatore che ha scritto migliaia di pagine a fumetti senza mai sognarsi di chiamare “romanzi” le sue storie per darsi un tono e che ha creato un personaggio che sta in edicola da quarant’anni.
Un gigante, uno di quelli che dopo che se ne vanno, una volta asciugate le lacrime, non si può che stare lì in silenzio a pensare “e ora?”

Di Sergio Bonelli ho un solo ricordo diretto.
Ero a Mantova Comics nel 2009, allo stand della Tunuè, una piccola casa editrice di Roma. Stavo comprando un libro e a un certo punto io e la ragazza che me lo stava vendendo ci siamo accorti che Bonelli era lì che guardava i loro volumi. Ricordo di aver pensato che fosse molto bello che alla sua età fosse ancora lì a girare per fiere e guardare quello che facevano le case editrici nuove. Ripensandoci ora, mi viene in mente una frase di Roland Barthes: “Ho avuto la fortuna di unire mestiere e passione, che secondo Stendhal equivale alla felicità”.
Ecco, credo che Bonelli sia stato un uomo felice, che ha reso il mondo un posto un po’ più divertente e piacevole per un bel po’ di gente, almeno a botte di mezz’ora per volta.
E di questo non posso che ringraziarlo.

(Se qualcuno volesse scrivere qualcosa per un ebook in memoria di Bonelli, è il benvenuto)

Bonus: il film turco su Zagor (rigorosamente pirata, nel senso che fatto senza avere i diritti sul personaggio)

 

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