Seconda parte del riepilogo. Evidenziati con il rientro, i Gran Fighi.
Hellgate – Alan D. Altieri (TEA)
Seconda raccolta di racconti di Altieri, questa volta dedicata ad Andrea Calarno, poliziotto apparso per la prima volta in “L’uomo esterno”. Raccogli diversi racconti “d’occasione” (tra cui uno che ha come protagonista Duca Lamberti, personaggio-icona di Scerbanenco) e spesso il tono sarcastico e sopra le righe va un po’ troppo sopra le righe – come nel romanzo breve che chiude il volume.
La regina dei castelli di carta – Stieg Larsson (Marsilio)
Conclusione della trilogia di Larsson, di fatto è la seconda parte del secondo libro. Il problema più grosso è che, a un certo punto, c’è troppa roba. Troppe coincidenze, troppe sottotrame. E, per un lettore italiano, un’inspiegabile fiducia nella legge e nell’ordine costituito. Oltre a un manicheismo che stona con il realismo delle parti dedicate ai rapporti tra politica, economia e giornalismo. Però lo stesso si va avanti una pagina dopo l’altra, intrappolati dalla macchina macina-trama di Larsson.
Guida alle case più stregate del mondo – Francesco Dimitri (Castelvecchi)
Nei primissimi anni novanta, il secondo Almanacco di Dylan Dog ospitava un lungo speciale dedicato ai fantasmi e al ghost-hunting. Questo libro ne è un po’ l’erede spirituale: non solo recensisce una gran quantità di dimore e luoghi infestati in giro per il mondo, ma fornisce anche all’aspirante cacciatore di fantasmi una certa quantità di nozioni su come affrontare il suo nuovo hobby. La parte più interessante, però, è quella teorica, in cui Dimitri spiega come la realtà che percepiamo sia, a grandi linee, costruita da noi stessi e da ciò in cui crediamo (o vogliamo credere).
Feroci invalidi di ritorno dai paesi caldi – Tom Robbins (Baldini & Castoldi – Dalai)
È la prima volta che leggo qualcosa di Robbins. E ne sono stato completamente rapito. Personaggi sopra le righe ma allo stesso tempo credibili, ambientazioni esotiche e sospese tra sogni e realtà, veloci cenni sulla storia delle religioni, dialoghi spumeggianti. Da leggere.
La Torre Nera – Stephen King (Sperling&Kupfer)
E così un lungo viaggio arriva alla fine. Il giudizio è per tutta la serie, non per il libro in sé che ha dei momenti anche un po’ imbarazzanti (lo scontro con il Re). Ma King ha davvero costruito un incredibile monumento (anche a se stesso e al suo lavoro), un atto di amore verso la scrittura e le storie da levare il fiato.
Monster nation – David Wellington (Mondadori)
Il primo della serie iniziava lento e si impennava solo verso i tre quarti della storia. Questo inizia lento e resta uguale fino alla fine. È difficile sbagliare con gli zombi, ma qui Wellington ce l’ha fatta.
Acque oscure – Valerio Evangelisti (Mondadori)
Antologia un po’ (molto) altalenante, dove per fare volume è stato infilato di tutto, compresi due raccontini d’occasione come quelli su Palahniuk e Dan Brown. Il piatto forte è il racconto finale, che però miscela “Il nodo Kappa” e “Sepultura”, racconti già editi. Divertente il racconto, molto fantascienza vecchio stile, “Stanlio e Ollio terror detectives”.
Let it be – Paolo Grugni (Mondadori)
“Noir” all’italiana, che mescola semiotica e canzoni dei Beatles. Sulla carta, un capolavoro. Ma Grugni appesantisce il tutto abusando di quella che gli anglosassoni chiamano “purple prose”, vale a dire infiocchetta tutto con uno stile che cerca di mescolare la durezza del noir con un lirismo assolutamente fuori luogo. Si arriva alla fine con una certa stanchezza.
Animere nere reloaded – AA. VV. (Mondadori)
Seconda puntata dell’antologia di racconti crudeli curata da Altieri. L’accumulo di sesso, violenza, sesso, violenza, sesso, violenza produce rapidamente una certa noia. Qualcosa di interessante c’è, ma va cercato bene. O forse sono racconti che andrebbero letti uno ogni tanto e non tutti di seguito.
Settanta – Simone Sarasso (Marsilio)
Rispetto a “Confine di Stato”, il balzo in avanti di Sarasso è notevole. Se il primo romanzo era tutto scritto come fosse un film d’azione tradotto, qui c’è un’attenzione alla resa delle diverse parlate dei personaggi (a seconda della loro provenienza) del tutto inedita – e che non sfocia mai nella macchietta. Sterling fa un passo indietro, non è più il motore principale delle vicende, e tutta la storia ne guadagna in credibilità e incisività. Anche il pastiche di stili e prestiti altrui (in CdS c’era un pezzo di “54” di Wu Ming e il racconto di una famosa storia con Superman di Garth Ennis) lascia posto a una scrittura più organica e compatta – resta ancora qualche debito con Genna, evidentissimo in una scena con lo Svedese.
La ragazza dai capelli strani – David Foster Wallace (Minimum Fax)
Tanto mi piace il DFW saggista e articolista, tanto ho difficoltà con le sue storie. Non so cosa sia di preciso, forse che applicata alla narrativa la sua capacità di analizzare e scomporre le cose mi annoia, fatto sta che non riesco a godermi i suoi racconti come i suoi saggi. Racconti che pure sono tutt’altro che disprezzabili. Sono io che non ce la faccio.
Al servizio di chi mi vuole – Giorgio Scerbanenco (Garzanti)
Scerbanenco è stato uno dei grandi artigiani della narrativa italiana, capace di sfornare pagine su pagine, di qualsiasi genere. Questo è un romanzo di guerra che racconta l’assalto di una banda di mercenari a un deposito d’armi in Florida per conto dei ribelli cubani, dal punto di vista di un ex paracadutista italiano. Solida narrativa di genere, con quel tono di fondo malinconico tipico dei romanzi noir di Scerbanenco e la durezza tipica di tempi in cui il “politically correct” non esisteva. In appendice, un racconto, altrettanto duro e malinconico, di ambientazione partigiana.
La città perfetta – Angelo Petrella (Garzanti)
Uno dei più convincenti tentativi di adattare gli stilemi di Ellroy alla narrativa in italiano che mi sia capitato di leggere. Petrella racconta la Napoli dei primi anni Novanta intrecciando tra loro le storie di tre personaggi (un poliziotto corrotto, uno spacciatore, un ragazzo che passa dal movimento studentesco alla lotta armata) e nel farlo lascia intravedere l’Italia che sta sorgendo. Ellroy lo si ritrova non tanto nella forma ma nel tono generale, nella voce dell’autore, nel modo in cui riesce a raccontare la città. Gran romanzo.