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Autodifesa – Novembre 2011

Bentornati ad Autodifesa, la rubrica di commenti sui libri letti nel mese precedente.
Questa volta, sembra quasi uno speciale a tema su alcune declinazioni sul tema del tempo o, sotto altri aspetti, uno speciale dedicato quasi tutto alla fantascienza.

More about L'occhio del purgatorioL’occhio del purgatorio di Jacques Spitz (Urania Collezione) non lo trovate più in edicola e dovete eventualmente chiederlo al servizio arretrati di Mondadori. Peccato, perché questo libro in un mondo più giusto dovrebbe essere un classico del fantastico assieme ai romanzi di H.G. Wells o a Frankenstein o a 1984 e meritarsi edizioni dalla vita commerciale meno effimera. La storia (reinterpretata da Gianfranco Manfredi in un Dylan Dog del 1994, “I giorni dell’incubo“) ruota attorno a una supercazzola scientifica grazie alla quale uno squattrinato e depresso pittore si trova, suo malgrado, a vedere le cose come saranno nel futuro e non più come sono nel presente. All’inizio lo scarto è solo di ore, poi diventa di giorni, poi settimane, mesi, anni, decenni, secoli, millenni, in un crescendo di dissoluzione. Non preoccupatevi: non ho spoilerato irrimediabilmente il libro, perché l’intreccio – che è poi abbastanza lineare – è un pretesto che permette a Spitz di mettere insieme visioni di ispirazione surrealista e riflessioni esistenzialistiche che costituiscono il vero senso del lungo racconto e che, per fortuna, non è possibile spoilerare. È un lungo e lucidissimo incubo, in cui il fantastico serve non a “mascherare” la realtà ma, al contrario, a farla esplodere, tenderla fino all’estremo per rivelarne l’essenza. Una vena di humour nero mitiga in parte il tono cupissimo della vicenda, lo stessa combinazione che si ritrova anche nel secondo romanzo breve ospitato dal volume, “Le mosche“, variazione sul tema della lotta tra esseri umani e invasori votati al loro sterminio in cui la minaccia non arriva però dallo spazio più o meno profondo ma dagli umili e fastidiosi insetti, che di colpo sviluppano un’intelligenza messa immediatamente al servizio di una lotta ferocissima e senza quartiere contro il genere umano. Anche qui Spitz si dimostra un abilissimo gestore del ritmo narrativo e la vicenda, per quando prevedibile, si snoda in un altro crescendo di orrore e ironia. Le parti migliori sono quelle che riguardano le reazioni di ogni stato all’invasione, con una particolare menzione per la figura da operetta dell’italietta fascista e per l’apocalittico scenario evocato per la Germania nazista. Ma in generale ci sono sparsi abbastanza spunti da dare vita a milioni di fan-fiction (in fondo è l’apocalissi zombi con le mosche al posto dei morti viventi).
Insomma, un volume che al prezzo di un pacchetto di sigarette mette insieme due bei pezzi di fantastico del primo Novecento. Tenete d’occhio bancarelle e remainders.

More about 11/22/63Se il protagonista di Spitz viaggia in avanti nel tempo con lo sguardo, il viaggio nel tempo di Jake Epping, il protagonista di “11/22/63” di Stephen King (Scribner) invece viaggia fisicamente indietro nel tempo fino al 1958. Era da parecchio tempo che non compravo un romanzo di King appena uscito; anzi, grazie ai potenti mezzi di Amazon, l’ho ricevuto sul Kindle proprio appena uscito. It’s a kind of magic, che mi sembrava giusto sfruttare per verificare subito se l’ambiziosa impresa del Re è stata coronata da successo. In “11/22/63”, infatti, lo scopo ultimo del viaggio nel tempo è impedire l’omicidio di John Kennedy il 22 novembre del 1963, nella speranza di cambiare in meglio il corso della storia. Da un’idea del genere può uscire una gigantesca cazzata o qualcosa di molto buono: King per fortuna sua ha pescato le carte giuste e ha costruito attorno a questa idea un romanzo fluviale in cui è riuscito a far stare insieme ricostruzione storica, personaggi tridimensionali e probabilmente più richiami alla sua cosmogonia di quanti io sia stato in grado di cogliere (sono stato un lettore della Torre Nera abbastanza distratto, ahimè).
Colpisce, rispetto a molti altri romanzi di King di questa mole, la rapidità con cui si entra nel vivo della vicenda: il varco temporale verso il 1958 (e ritorno) viene introdotto praticamente all’inizio del libro ed Epping, docente di un liceo del Maine uscito dal matrimonio con un’alcolista, fa il suo primo viaggio indietro nel tempo quasi immediatamente. È una cosa un po’ da episodio di “Ai confini della realtà”, ma che King riesce a spogliare da ogni possibile ingenuità e a farla sembrare assolutamente logica, così come succede con le “regole del gioco” secondo le quali il varco porta sempre nello stesso giorno del 1958 e nello stesso posto; qualunque azione effettuata nel passato che cambi il futuro viene annullata da un eventuale viaggio successivo; non importa quanto tempo si passi nel passato, nel “presente” saranno sempre passati solo due minuti.
Insomma, sembra che King abbia fretta di sbrigare le formalità il più in fretta possibile per buttarsi a capofitto nel vivo della vicenda, cosa a cui si dedica diligentemente. C’è qualche eco da Ritorno al futuro, che non poteva non essere evocato in qualche modo (l’almanacco con i risultati sportivi), e c’è un commovente incontro a Derry con due personaggi di It. La ricostruzione dell’America di fine anni cinquanta-inizio anni sessanta fatta King è precisa e oscilla tra il fascino per un mondo più semplice e il rigetto per un mondo molto più bigotto e rigido (oltre che ovviamente segnato dalla segregazione razziale); un mondo che in ogni caso sembra offrire un perfetto rifugio a una delle più persistenti ed efficaci incarnazioni del Male secondo Stephen King, vale a dire il padre di famiglia violento con moglie e/o figli. Qui ne abbiamo addirittura tre occorrenze, una delle quali è proprio Lee Oswald, l’uomo che uccise JFK (taglio la testa al toro per non entrare nel campo minato delle ricostruzioni della morte di Kennedy, argomento su cui onestamente non so abbastanza per propendere per questa o quell’ipotesi; vi segnalo solo questo breve spezzone su una delle figure di contorno più inquietanti e a suo modo kinghiane di quella mattinata texana, l’uomo con l’ombrello). Su così tante pagine di romanzo è fisiologico che ci siano alcuni momenti di stanca, specie nelle sequenze di raccordo tra le parti più importanti, ma generalmente King riesce a tenere alto il ritmo e, di tanto in tanto, a lasciare cadere senza troppo clamore frammenti di trama che troveranno completamento più avanti (così come alla fine vengono spiegate molte cose apparentemente senza senso che succedono nella prima parte del libro). Come nelle opere migliori di King, l’incantesimo per cui da un lato desideri di arrivare il più in fretta possibile alla fine del libro per scoprire che cosa succederà e dall’altro vorresti invece ritardare quel momento il più possibile per non dovere abbandonare i personaggi funziona benissimo e il libro si legge tutto sommato in fretta (anche se ovviamente leggerlo in inglese lo fa durare un po’ di più).
In questo caso, anticipare troppo della trama rovinerebbe il piacere della lettura; basti solo sapere che il finale è soddisfacente sia dal punto di vista delle implicazioni dei viaggi nel tempo sia da quello dello sviluppo dei personaggi. E che le due cose in qualche modo si sostengono a vicenda. Tenete a portata di mano i fazzoletti, in ogni caso.

More about Chi non muoreChi non muore” di Gianluca Morozzi (Guanda) è un interessante tentativo da parte dello scrittore bolognese di riunire in un romanzo solo i due filoni della sua produzione – la commedia e il thriller-horror venato di sovrannaturale. In realtà, l’equilibrio tra i due elementi qui risulta sbilanciato sul primo versante: le tragicomiche vicende musical-sessual-sentimentali di Angie, giovane studentessa fuorisede che vive in un appartamento condiviso con improbabili coinquiline e cerca di conquistare un tormentato e sfuggente tastierista unico superstite dell’omicidio anni prima dei membri del suo gruppo, occupano la gran parte del libro e la decisa sterzata alla storia che danno le rivelazioni finali è davvero brusca. Ma nonostante questo difetto, il libro è uno spasso. Morozzi è riuscito a trovare una voce narrante femminile credibile attraverso la quale raccontare miserie, glorie e idiosincrasie del fuori-sedismo a Bologna, tra cui quella sensazione che hai che Bologna sia un po’ una di quelle cittadine lovecraftiane in cui gli abitanti hanno i loro oscuri segreti che li spingono a non dare poi così tanta confidenza a chi viene da fuori (e l’assoluta certezza che la città finisca al Parco Nord e che da lì in poi ci sia una terra misteriosa in cui può accedere di tutto, cosa implicitamente confermata nel romanzo). L’altra parte del romanzo ha degli spunti interessanti (e c’entra con i due libri di sopra) ma è troppo compressa e accelerata per sfruttarli appieno; se Morozzi fosse riuscito a bilanciare perfettamente le due parti, avrebbe tirato fuori il suo capolavoro. Così, invece, è “solo” un libro molto divertente con un finale parecchio what the fuck?

More about La vita sessuale di Alessandro BariccoA proposito di storielline divertenti, “La vita sessuale di Alessandro Baricco” di Gianluca Colloca (Coniglio Editore) è un racconto breve in cui un gruppo di giovani italiani in vacanza all’estero si spaccia a turno per un famoso scrittore italiano per impressionare delle turiste.
Il libro è una piacevole cazzatella pieno di quelle battute e situazioni che fanno tanto ridere noi maschi eterosessuali medi ma non è oggettivamente niente di che; una lettura piacevole per una mezz’oretta di treno, con un finale abbastanza scontato.

More about For the WinFinita la parentesi, torniamo a bomba sulla fantascienza, con il secondo romanzo per young adults di Cory Doctorow, vale a dire “For the win” (Tor; disponible per il download in inglese qua).
Secondo me, che di Cory Doctorow in italiano si trovi pochissimo (X, vale a dire Little Brother, il suo primo romanzo per young adults è da poco disponibile presso le librerie remainder) è un evidentissimo segno della povertà e della miopia del panorama editoriale italiano, perché Doctorow è un autore che si adopera in quella che si potrebbe definire con l’espressione desueta “narrativa d’anticipazione” o con la più precisa locuzione inglese “social science fiction”. In romanzi come Little Brother, Makers o appunto For the win Doctorow racconta di un mondo “venti minuti nel futuro” per spiegare come le tecnologie stanno cambiando o cambieranno il nostro mondo sociale ed economico.
FTW è un romanzo, come detto, per “ragazzi” ma ha il pregio di trattare i suoi lettori non come dei cretini e come tale può essere trovato godibile un po’ da chiunque, credo (o almeno da me); Doctorow in questo ricorda molto R. A. Heinlein, per esempio, che scrisse Starship Troopers come un juvenile, l’equivalente di allora della categoria young adults, nonostante sia un romanzo tremendamente politico appena appena mascherato da storia d’avventura. FTW parla, principalmente, dell’economia dei mondi virtuali dei giochi di ruolo online come World of Warcraft (e tutta una serie di altri inventati per il romanzo da Doctorow, tra cui uno ambientato nella Wonderland di Carroll) per parlare dell’economia del mondo reale, dei diritti dei lavoratori, della situazione nelle fabbriche cinesi e via discorrendo. Ogni tanto l’azione si interrompe e partono delle efficaci lezioni di economia, condite da gustose metafore, per quella quella in cui si paragona l’economia a un treno in corsa (traduzione mia):

So in practice, this big engine that determines how much food is grown, whether you’ll have to sell your kidneys to feed your family, whether the factory down the road will make Zeppelins, whether the restaurant on the corner can afford the coffee beans, all this important stuff has no one in charge of it. It is a runaway train, the driver dead at the switch, the passengers clinging on for dear life as their possessions go flying off the freight-cars and out the windows, and each curve in the tracks threatens to take it off the rails altogether. There is a small number of people in the back of the train who fiercely argue about when it will go off the rails, and whether the driver is really dead, and whether the train can be slowed down by everyone just calming down and acting as though everything was all right. These people are the economists, and some of the first-class passengers pay them very well for their predictions about whether the train is doing all right and which side of the car they should lean into to prevent their hats from falling off on the next corner. Everyone else ignores them.

Quindi, in pratica, questo enorme motore che determina quanto cibo viene coltivato, se dovrai vendere o no un rene per sfamare la tua famiglia, se la fabbrica in fondo alla strada costruirà Zeppelin o altro, se il ristorante sull’angolo si può permettere i chicchi di caffè e tutto queste genere di cose importanti non ha nessuno che lo controlli. È un treno in fuga il cui macchinista è morto ai comandi, con i passeggeri che cercano di aggrapparsi come disperati mentre ciò che possiedono vola fuori dai carri merci e dai finestrini, un treno che a ogni curva rischia di uscire dai binari. C’è un piccolo gruppo di persone in corsa al treno che discute animatamente su quando il treno deraglierà o se il macchinista è morto per davvero e se non fosse possibile fare rallentare il convoglio dandosi tutti una calmata e facendo finta che sia tutto a posto. Queste persone sono gli economisti e alcuni dei passeggeri in prima classe li pagano fior di quattrini per sapere se secondo le loro previsioni il treno sta andando bene e verso quale lato della carrozza dovrebbero piegarsi per evitare di perdere il cappello alla prossima curva. Tutti gli altri gli ignorano.

Doctorow spiega i meccanismi dell’economia mentre un gruppo di ragazzini e ragazzine, americani, cinesi, indiani, lotta per i diritti dei lavoratori digitali (e non).
È un romanzo che forse i quattro anni dalla stesura hanno reso ancora più attuale – leggevo le pagine sul funzionamento dell’economia mentre saliva la febbre da spread e si parlava di default – ed è il genere di cose che avrei voluto avere a disposizione quindici anni fa. Spero che qualcuno prima o poi lo traduca in italiano, ma ci credo poco.

More about Steve JobsDicevamo di numero speciale quasi completamente dedicato alla fantascienza; per certi versi rientra in questa categoria anche “Steve Jobs” di Walter Isaacson (Mondadori), biografia del co-fondatore della Apple morto a ottobre del 2011. Ci rientra perché in fondo Jobs è stato uno dei principali attori del cambiamento culturale per cui i computer sono passati negli anni settanta da cose gigantesche per utilizzi scientifici e industriali a oggetti di uso più o quotidiano per sempre più persone, non solo al lavoro ma anche in casa. È vero che Jobs non ha “inventato” nulla nel senso più stretto del termine, ma le sue intuizioni, la sua “visione”, sono state determinanti nel portare a un pubblico più ampio le scoperte di altri.
La biografia di Isaacson è una biografia autorizzata, un genere che di solito si presta particolarmente all’agiografia. È piuttosto sorprendente, quindi, scoprire che Jobs non ha fatto nulla o quasi per tenere fuori dalle pagine del libro gli aspetti più spigolosi e meno accomodanti del suo carattere, dalle astruse convinzioni sull’igiene personale (da giovane era convinto che mangiando solo frutta non avesse bisogno di lavarsi) al ruvido trattamento riservato alle persone con cui ha lavorato, passando per il rifiuto di riconoscere la prima figlia, Lisa. Restano però fuori controversie ben più serie degli ultimi anni legate ai suicidi negli stabilimenti cinesi della Foxconn, dove si assemblano diverse linee di prodotti Apple.
Isaacson è un biografo navigato e sa muoversi bene tra le decine e decine di interviste realizzate con le persone che hanno lavorato con Jobs, facendo scorrere una mole impressionante di avvenimenti senza particolari intoppi o momenti di stanca. Certo, il racconto della prima parte dell’avventura della Apple, che è anche il racconto della nascita dell’industria dell’home computer, è sicuramente molto più interessante di buona parte delle cose che succedono più avanti (non fosse altro perché gli eventi più recenti li abbiamo più o meno seguiti tutti “in diretta”).

Il tratto che emerge più spesso nel libro parlando di Jobs è la sua straordinaria capacità di persuasione delle persone, riconosciuta da più o meno chiunque abbia avuto a che fare con lui e definita quasi “magica”. Però allo stesso tempo quasi nessuno dà di lui un ricordo limpido, come se in un modo o nell’altro fosse riuscito nel corso della sua vita a infastidire in un modo o nell’altro, volente o nolente, più o meno tutte le persone con cui è entrato in contatto.
L’impressione finale è che la Apple senza di lui farà una fine abbastanza orribile, perché non sembra il genere di persona capace di lasciare eredi: il bizzarro mix di carisma, idee audaci e idiosincrasie che ha dato vita ai prodotti con cui la Apple si è risollevata dopo il suo ritorno a Cupertino è probabilmente destinato a morire con lui. Andranno avanti con i progetti a cui ha lavorato prima di morire ancora per qualche anno e poi, salvo sorprese, inizierà un nuovo declino. Un po’ tipo i Queen senza Freddie Mercury (tutto sommato due personaggi simili: origini esotiche – il padre biologico di Jobs era siriano –, stile di vita sregolato, idee folli sulla carta che si rivelano grazie al loro carisma vincenti, la malattia sotto i riflettori inseguiti dalla stampa scandalistica, al lavoro quasi fino all’ultimo respiro…).

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Autodifesa – Ottobre 2011

"Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare, zecca di merda! E te là dietro, omnia sunt communia, pure le mazzate, quindi adesso arriviamo"

Bentornati su Autodifesa, la rubrica dei libri di questo blog che ha come titolo una citazione sbagliata, perché la frase di Woody Allen è “leggo per legittima difesa” e non “per autodifesa”. Mi ci sono voluti dieci mesi per capire perché tutte le volte che scrivevo il titolo sentivo qualcosa di stonato, ma alla fine ci sono arrivato. Scommetto che a Nick Hornby queste cose non succedono.

More about Non ti meriti nullaNon ti meriti nulla” di Alexander Maksik (e/o) è uno di quei libri che ti spiazzano per il gap culturale tra il mondo dell’autore e quello del lettore. Uno dei suoi protagonisti, Will Silver, è infatti un giovane professore che insegna letteratura in un liceo internazionale di Parigi; non so se l’autore non ne dice esplicitamente l’età nelle sue prime apparizioni o se mi era sfuggito il dato, ma io sono arrivato a tre quarti del libro convinto che avesse minimo quarant’anni, età che immaginavo giusta per un “giovane” insegnante che ricopre, già da qualche tempo, un ruolo di responsabilità in una scuola di un certo livello. Poi a un certo punto ho letto che aveva trentadue anni e ci sono rimasto un po’ così.
Problemi generazionali a parte, il romanzo di Maksik non brilla di originalità, perché ruota attorno a una relazione tra il suddetto professore e una studentessa della scuola, ma recupera raccontando questa storia con un intreccio di punti di vista (quelli dei due amanti e quello di uno studente di origine araba affascinato da Silver) gestito con oculatezza e che serve anche a parlare di responsabilità, reputazione, crescita. Non è il genere di romanzo che di solito mi andrei a cercare ma è ben fatto e sono contento che qualcuno (grazie Silvia) mi abbia detto “toh, leggilo”.
More about InvisibileIn alcuni aspetti ci sono dei punti di contatto con “Invisibile” di Paul Auster (Einaudi), che porta all’estremo il gioco dei punti di vista con lo scopo di raccontare una storia in cui la “verità” è probabilmente impossibile da stabilire oggettivamente, ma resta solo una convinzione del singolo lettore. “Invisibile” racconta una storia che si dipana nel corso di quarant’anni, iniziando nella New York della fine degli anni Sessanta e spostandosi a Parigi prima e su un’isola del Pacifico poi. Auster impiega, non senza una giustificazione narrativa che lo tiene lontano dallo sterile esercizio di stile, tre tipi di narrazione: in prima, in terza e anche in seconda persona.
Date le premesse, si potrebbe pensare che il romanzo sia un pedante esercizio intellettualistico. E invece Auster, benché abbia comunque ambizioni alte, riesce a costruire una struttura narrativa che affascina, in cui rivelazioni ed enigmi sono dosati secondo il ritmo di un thriller (e alla fine una delle letture possibili è proprio che il romanzo sia un thriller raccontato da un’angolazione diversa da quella che ci si aspetterebbe), con personaggi ben descritti e vividi. È quel genere di libro che vorrei trovare più spesso, godibile e allo stesso tempo stimolante per come racconta il modo in cui si raccontano storie e si (ri)costruisce il mondo grazie a esse.

More about ACABLa prima volta che ho sentito parlare di “Acab” di Carlo Bonini (Einaudi) è stato quando nell’homepage di Repubblica.it c’era tra le notizie un suo pezzo, quello relativo alla trascrizione (?) di messaggi del forum interno della Polizia di Stato. Una decisione editoriale che lasciava parecchio perplessi perché “Acab” era presentato come “romanzo” e Bonini è una delle firme di punta delle inchieste di Repubblica, quindi si creava uno spiacevole cortocircuito tra fiction e giornalismo. Ora che l’ho letto, mi rendo conto che il problema è complesso e merita un discorso un po’ più articolato. Continua a leggere

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Di ebook, copyleft e formati

È online da ieri un libro scritto da Wu Ming 2, “Il sentiero degli dei”, che parla del cammino tra Bologna e Firenze, la via degli dei, appunto.
Come da tradizione, il libro è disponibile gratuitamente per  il download, con questa avvertenza:

Download gratuito, come sempre. Se pensi che questo sforzo di apertura, questa politica di copyleft che portiamo avanti da tanti anni, meriti una ricompensa, un incoraggiamento, un feedback, un… “controdono” da parte tua, puoi usare PayPal per mandarci qualche scellino. Così, per la nostra bella faccia.

Stamattina, sul twitter di Wu Ming sono comparsi, inframezzati da altri, questi messaggi:

http://twitter.com/#!/Wu_Ming_Foundt/status/90691810288087040
http://twitter.com/#!/Wu_Ming_Foundt/status/90695229702799361
http://twitter.com/#!/Wu_Ming_Foundt/status/90700184094380032

Secondo me il problema è leggermente mal posto e non tiene in considerazione il primo commento, dello stesso WM2, apparso nel blog che annunciava la messa online del libro:

Mi dicono i tecnici della materia che fare un ePub a partire dal PDF è cosa complicata e che sarebbe meglio avere un formato odt o rtf. La risposta è: lo avrete, ma dopo l’estate.
Centinaia di correzioni e modifiche sul testo noi le facciamo ancora a penna, sulle bozze cartacee, e poi le comunichiamo per e-mail o telefono alla casa editrice, che le mette direttamente nel file pronto per la stampa. Generare il file odt o rtf da questo file pronto per la stampa a quanto pare non è semplice e siccome in una casa editrice piccola come Ediciclo c’è sempre un sacco di lavoro per poche persone, bisogna aspettare che qualcuno trovi il tempo per farlo.
Ecco perché abbiamo messo on-line il PDF originale del libro (tagliando solo le illustrazioni e le foto, per motivi di peso) e non il file in solo testo, come sarebbe stato preferibile.

Il libro infatti è stato messo a disposizione  come PDF a fogli stesi (due pagine sulla stessa facciata orizzontale, come quando si fotocopiano i libri), file prodotto evidentemente dallo stesso impaginato usato per stampare il libro cartaceo, con numeri di pagina, titoletti e quand’altro.
Chi sono oggi le persone che possono essere disposte a pagare per un libro elettronico?
I possessori di e-reader. Non tutti, beninteso, ma se c’è qualcuno che è pronto a scucire degli scellini, con ogni probabilità è qualcuno che è già abituato a pagare per avere in cambio dei file.
Ma cosa se ne fa un possessore di e-reader di un PDF del genere?
Praticamente niente. A convertirlo in ePub viene una cosa particolarmente brutta, con formattazioni più o meno casuali. Leggerlo direttamente come PDF, a meno che non abbia uno schermo particolarmente grande, è un’operazione menosissima.
Io sarei ben contento di scucire anche qualche ghinea, ma, se non per un file ben formattato, quanto meno per uno che posso convertire senza grossi traumi.
Insomma, il punto è questo: nel 2011 un autore copyleft deve essere tecnologicamente alla pari dell’offerta dell’editoria digitale. Cory Doctorow (per citare il titano di queste cose) è Cory Doctorow anche perché i suoi libri, come per esempio Makers, sono a disposizione (in larga parte grazie ai lettori stessi, che però partono da formati gestibili) in più o meno qualsiasi formato esistente al mondo.
Non ho idea di come stia andando “senzablackjack“, l’area download dei libri dei Kai Zen, con offerta libera, però i loro due libri sono a disposizione in pdf, mobi ed ePub.
Potenzialmente una strada c’è, anche se siamo il paese in cui la gente scarica film registrati con la telecamerina al cinema tutta contenta di non aver pagato il biglietto, per gli autori copyleft; però passa attraverso gli early adopters di lettori di libri elettronici. E se non gli si va incontro, può diventare parecchio in salita.
(niente, volevo commentare la cosa su Twitter ma non ce l’avrei mai fatta)
Edit: come segnalato da WM1 nei commenti, qui tutta la discussione nata su twitter è riassunta in modo molto più articolato.

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Autodifesa – gennaio 2011

Alla fine, come dicevo, ho riflettuto sulla formula di questi resoconti di libri letti; e mi sono reso conto che quello che non mi piaceva più era la presentazione a elenco. I post sui libri del mese erano nati come pubblicazione di un file che avevo iniziato a tenere per me in forma schematica con brevi note. Poi da quando ho iniziato a usare aNobii tenere un elenco del genere è diventato piuttosto superfluo.
Così, ho deciso di impostare questi post in forma molto più discorsiva. Un po’ come la rubrica di Nick Hornby che viene tradotta da Internazionale. O un po’ come un post vero e proprio. Vediamo se funziona meglio.
N.B la grandezza delle copertine non è proporzionale al giudizio sul libro! È solo che alcune aNobii le ha o minuscole o gigantesche.

Gennaio mese potteriano.
More about Harry Potter and the Goblet of FireMore about Harry Potter and the Order of the PhoenixHo iniziato l’anno finendo la lettura di Harry Potter and the Goblet of Fire e già che c’ero, galvanizzatissimo, mi sono sparato al volo anche The Order of the Phoenix (per entrambi, l’autrice è J.K. Rowling e l’edizione quella in paperback della Bloomsbury con le copertine “adult”, che comunque non contengono Emma Watson nuda). Goblet of Fire (quarto della serie) è un vero punto di svolta: riprende il tono più cupo del libro precedente, amplificandolo. Inoltre, il raddoppio delle pagine corrisponde a un aumento ben più significativo della complessità della trama. Per la prima volta si capisce chiaro e tondo che il centro della storia non sono tanto (o non solo) le vicende dell’eroe eponimo bensì il gigantesco e incombente regolamento di conti tra maghi di trentaseiesimo livello. Ho accolto con un grosso grosso grosso sospiro di sollievo la forte riduzione del consueto scenario iniziale con Harry vessato dagli zii e dal cugino, la cui quarta ripetizione sarebbe stata davvero troppo. Alla fine ero così entusiasta del finale che sono partito appena possibile con The Order of the Phoenix, che non solo si mantiene sugli stessi livelli e toni, ma aggiunge anche una venatura politica al tutto che difficilmente mi sarei aspettato in un romanzo “per ragazzi”. Il tentativo del Ministero della Magia di prendere possesso di Hogwarts, la scuola di magia, minandone gli insegnamenti e rendendola di fatto inutile è supportato da una campagna stampa che sfrutta manipolazione dei fatti e gossip per screditare gli avversari. Inoltre, la Rowling introduce un cattivo, la Umbridge, che fa infinitamente più paura del tanto temuto Voldemort: una grigia e minuta funzionaria statale, che porta avanti il compito che le è stato assegnato con stolidezza e pacata ferocia. E che infligge agli studenti una punizione che riecheggia un famoso racconto di Kafka. Sempre senza alzare la voce. The british way to evil. Inoltre, tutta la parte sui primi turbamenti amorosi del dinamico trio è gestita bene, senza diventare mai invadente o stucchevole (così come, anche nel libro precedente, il tentativo da parte di Hermione di far assumere coscienza di classe agli elfi domestici, che invece sono ben felici di essere sfruttati). Ora ho i due libri finali che mi attendono. E credo che non ci vorrà molto prima di finirli.

More about Altri libertiniCi sono libri e autori attorno ai quali ronzi per anni, prima di deciderti. Di Pier Vittorio Tondelli ho letto, pescando qua e là secondo quello che mi sembrava interessante al momento, Un weekend post-moderno, robusta collezione di articoli sugli anni ’80, ma non ho mai letto la narrativa. Quindi ho cominciato dall’inizio, da Altri libertini (Feltrinelli), che è la raccolta di racconti con cui esordì. Trent’anni dopo, è difficile riuscire a immaginare lo scandalo che questi scritti causarono per il loro contenuto esplicito: Tondelli scrive di sesso in modo vitale, gioioso, famelico, disinibito. Ma non in modo gratuito: gli serve per definire i suoi personaggi, la loro fame di vita, di amore. E la scrittura va dietro a questo impeto: sembra sempre di rincorrere i personaggi, viene quasi il fiatone a stare dietro alle loro vite che macinano amori, città e avventure nel giro di poche pagine. È un’intensità che colpisce, rara da trovare.
More about Il tascapaneI “tondelliani”, aspiranti scrittori timidi e con il maglioncino, compaiono in uno dei racconti di Gianluca Morozzi che compongono Il tascapane (edito in ebook da Quintadicopertina). Quintadicopertina è una casa editrice digitale (come 40k e la neonatissima Sugaman), che pubblica cioè i propri testi solo in formato digitale. La sua peculiarità rispetto ad altre realtà simili è quella di avere pensato a un “abbonamento” a un autore (al momento sono due: Morozzi e Francesca Genti): per 12 euro si ricevono nel corso di un anno quattro “libri” che contengono materiali a completa discrezione dell’autore. Un’idea interessante a cui, visto che Morozzi mi piace, mi è sembrato interessante aderire, ricevendo per ora questa prima uscita che contiene una manciata di racconti e i primi capitoli di un romanzo ancora inedito. Tutto interessante: divertente il primo racconto, quello in cui si citano i “tondelliani”, che racconta le esperienze autobiografiche ai concorsi letterari.
More about Editoria digitaleE già che parliamo di ebook, ho letto Editoria digitale di Letizia Sechi (Apogeo, disponibile gratuitamente online), che è un’introduzione, pensata per gli addetti ai lavori, su formati, tecniche, supporti e problematiche del mondo del libro digitale. È spiegato bene, è tecnico il giusto e affronta il problema della ridefinizione del flusso di lavoro all’interno di una casa editrice, che è tutt’altro che secondario.
More about ContentSempre di Apogeo, sempre disponibile online e citato in alcuni passi dalla Sechi è Content di Cory Doctorow, che raccoglie alcuni articoli della sterminata produzione dell’autore americano sui temi del copyright, dell’editoria digitale e della creatività. Qui ho poco da dire, se non cose ottime. Doctorow mi sembra una delle teste pensanti a cui stare dietro in questi tempi e mi ritrovo pienamente su molte delle sue posizioni. In più, come già ho trovato nei suoi romanzi, il suo entusiasmo per il vivere “nel futuro” è palpabile e contagioso. Fosse per me, testi come questi sarebbero letture obbligatorie per tutti.

That’s all folks, la prima uscita è andata.
Qualunque parere è ben accetto!

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I libri di Dicembre

Ultimo appuntamento dell’anno con la rubrica dei libri (in anticipo, ma tanto dubito che riuscirò a finire Harry Potter and the Goblet of Fire entro domani, visto che l’ho iniziato ieri). Evidenziato, quello più consigliato.
La rubrica si vedrà anche nel 2011. Intanto vedo di mettere insieme tutte le uscite di questi cinque anni in un unico file.
Buone letture (e buon anno).

Harry Potter and the Prisoner of Azkaban – J.K. Rowling (Bloomsbury)
Secondo me i libri di Harry Potter sono fatti per essere letti quando fa freddo. Comunque. Come sanno anche i sassi, credo, questo è il terzo della serie e segue sostanzialmente lo schema dei primi due, introducendo però uno sguardo un po’ più ampio sugli eventi che portarono alla morte dei genitori di Harry e, soprattutto, un tono leggermente più cupo (i guardiani della prigione di Azkaban sono degli spettri che risucchiano tutte le emozioni positive delle persone lasciandole in preda alla più nera disperazione e incapaci di agire). La costruzione della trama è lenta come una nevicata a novembre, ma quando la Rowling inizia a tirare le fila della storia, beh, c’è solo da dire wow. Mi spiace solo che qui Snape (Piton) faccia un po’ la figura dell’idiota, perché è decisamente il personaggio più interessante di tutti (e l’unico a trattare con un po’ di polso l’altrimenti intoccabile Harry, a cui tutto è concesso). Qui si inizia a capire perché la serie di HP sia piaciuta così tanto.

Alice nel paese della Vaporità – Francesco Dimitri (Salani)
Dopo Pan, che è un robustissimo romanzo urban fantasy, mi aspettavo grandi cose da questa Alice. Invece, purtroppo, questo romanzo costruito come l’avventura di un gioco di ruolo (con una cornice metanarrativa che non ne risolleva le sorti) si è rivelato una lettura molto meno entusiasmante. Si capisce che Dimitri avrebbe un sacco di cose da raccontare sulla Steamland, la distesa allucinata che circonda una Londra retro-futuribile che ricorda un po’ il mondo della Torre Nera kinghiana, ma purtroppo quelle che ha scelto di mettere per iscritto non sono le più interessanti e la struttura della quest ogni tanto mi ha fatto inconsciamente venire voglia di dare un’occhiata alla scheda del mio personaggio. L’ambientazione è intrigante, ma non è supportata da una storia all’altezza: si legge piacevolmente, ma non mi ha soddisfatto del tutto.

The Innswich Horror – Edward Lee Jr. (Deadite Press)
Senza H.P. Lovecraft, chissà cosa sarebbe oggi l’immaginario orrorifico e sovrannaturale. Questo romanzo breve di un autore di cui non so nulla, ma che è uno di quei paperback writer capaci di sfornare decine di romanzi per il mercato dei tascabili mettendo una parola dietro all’altra con grande senso del dovere e amore per lo splatter, riprende uno dei topoi più tipici della narrativa post-lovecraftiana, vale a dire l’idea che Lovecraft abbia raccontato nelle sue storie fatti reali per avvisare l’umanità dei pericoli che corre. Così, qui abbiamo un gentiluomo di Providence, lettore di Lovecraft, che negli anni Trenta si reca in vacanza a Innswich, località del Rhode Island nella quale lo stesso Lovecfrat si era recato (nella finzione di Lee) e a cui si era ispirato per scrivere uno dei suoi capolavori, La maschera di Innsmouth (che se non hai mai letto puoi anche trovare in inglese o in una qualunque antologia di Lovecraft). Ovviamente, ci vuole poco perché il viaggiatore si renda conto che Lovecraft non si è ispirato solo all’aspetto esteriore della cittadina per la sua storia. La storia ricalca quella originale di Lovecraft, aggiunge solo uno sguardo più smaliziato, un po’ di orrore esplicito e di sesso e un colpo di scena che fa più che sorridere. Non è niente di che (ed è stampato malissimo), ma è un romanzo onesto di un onesto professionista che non ha altre pretese che non rendere omaggio a uno dei titani dell’immaginario fantastico del Novecento.

Song of Kali – Dan Simmons (Gollancz)
Questo è uno di quei casi in cui le aspettative ti rovinano la lettura di un romanzo: ne avevo sentito parlare in alcune discussioni (qui, per esempio) in termini decisamente lusinghieri e mi aspettavo grandi cose. Ora che l’ho finalmente letto, sono abbastanza perplesso perché a ben vedere non è che abbia trovato che questo libro si distacchi così tanto dagli standard del genere, né per lo svolgimento né per la qualità della rappresentazione del Male o per le descrizioni di Calcutta. La storia è quella di un redattore di una rivista di poesia che viene mandato in India a cercare di scoprire se è vero che un poeta indiano creduto morto ha invece ricominciato a scrivere. Si porta dietro la moglie (indiana) e la figlioletta di pochi mesi (che ha la data di scadenza in fronte; non è uno spoiler, è evidente dalla prima pagina) e viene invischiato in una storia torbida di presunte resurrezioni, adoratori di Kali, ladri di cadaveri, ecc. Alla fine scoprirà che il Male vive tra noi, che viviamo in un’era dominata dalla furia distruttrice della Dea e c’è ben poco che possiamo fare prima di andare a gambe all’aria tutti quanti. Forse mi aspettavo troppo, però mi è rimasto ben poco dalla lettura di questo libro (ma nonostante questo, qualcos’altro di Simmons voglio leggerlo, perché comunque qua e là dei lati interessanti li ho trovati).

Little Brother – Cory Doctorow (Kindle)
Più che un romanzo per young adults, lo definirei un juvenile, come quelli di R.A. Heinlein, con cui ha in comune il desiderio di essere non solo una storia appassionante ma anche una sorta di manuale di comportamento, con al centro i temi di cui Doctorow scrive di solito, vale a dire l’utilizzo consapevole della tecnologia, il software libero, l’ossessione per la sicurezza post-9/11. La storia è quella di un ragazzino di San Francisco che dopo un attentato al Bay Bridge organizza una resistenza al controllo militaresco operato in città dal DHS, il Department of Homeland Security. E benché non sia difficile appassionarsi alle sue vicende, è chiaro che il cuore del libro siano le informazioni che Doctorow dà ai suoi giovani lettori sull’attenzione che dovrebbero prestare al modo in cui usano i computer e sulle contromisure che si possono adottare. La risoluzione della storia è abbastanza deludente (il giornalista investigativo buono come deus ex machina), ma prima di arrivarci ci si diverte parecchio. Come dice Neil Gaiman, è un libro da far leggere a qualunque ragazzino e ragazzina un minimo svegli che si conoscano. Ovviamente, l’edizione cartacea italiana è fuori commercio. Si trova un ebook che grazie al cielo è privo di DRM (sarebbe stato paradossale, vista la storia). Se avete un e-reader e leggete in inglese, la versione originale in Creative Commons è liberamente scaricabile dal sito dell’autore (come tutti i suoi libri).

Il porto degli spiriti – John A. Lindqvist (Marsilio)
Dalle grinfie di Lovecraft non si scappa, se si racconta di una comunità che vive in riva al mare (in questo caso un’isola svedese) in cui ogni tanto scompare misteriosamente della gente. Lindqvist si porta dietro l’etichetta di “Stephen King norvegese”, che non è del tutto campata per aria, a giudicare dallo svolgimento di questo romanzo, che abbraccia le vite di due generazioni di personaggi (tratteggiati con grande abilità) i loro amori, i loro drammi, i loro segreti e il loro rapporto con gli eventi sovrannaturali. C’è qualche eco di A volte ritornano nei due demoniaci fan degli Smiths (l’ho sempre detto io di non fidarsi di Morrisey e soci…), ma comunque il modo che ha Lindqvist di costruire la sua storia e il suo sovrannaturale è decisamente personale. E anche quando sconfina nel fantasy più esplicito (lo Spiritus), riesce a farlo senza stonare con il resto del mondo che ha creato e senza concedere nulla o quasi allo spiegone. In effetti la qualità più interessante del libro è proprio l’atmosfera di non detto e l’imperscrutabilità del potere del mare (che richiama anche il buon Hodgson), che danno l’impressione di trovarsi davanti a uno scrittore che non solo ha alle spalle un’ottima conoscenza dei meccanismi del genere ma anche una capacità di costruire storie, ambienti e personaggi superiore alla media.

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I libri di agosto

Agosto, lettura mia non ti conosco…
O quasi. Evidenziato il titolo più consigliato. Contiene anche una breve nota sulla questione degli Urania tagliati.

Città perfetta – Guglielmo Pispisa (Einaudi Stile Libero) [Kindle]
È la storia di un gruppo di sviluppatori di videogiochi, la cui società sta per essere assorbita da una ricca e potente multinazionale. Ma è anche la storia di Daryl Domino,  un misterioso personaggio che compare interrompendo le trasmissioni televisive per raccontare le sue storie enigmatiche. Ed è la storia del culto di Daryl e dei suoi seguaci. Pispisa, che deve essersi studiato con molta attenzione Tom Robbins, scrive parecchio bene. Forse a volte persino troppo bene e la voce dei personaggi risulta un po’ falsa e impostata. Però come difetto diciamo che è tutto sommato trascurabile: nel complesso i personaggi sono vividi, le situazioni ben orchestrate e la quantità di storie raccontate, magari anche solo accennate, notevole. Un bel libro, che si può scaricare qui.

20th Century Ghosts – Joe Hill (Morrow) [Kindle]
Joe Hill è il figlio di Stephen King. E se anche non lo fosse in senso biologico, da questi racconti è evidente quanto lo sia in termini artistici. Ci vuole coraggio a provare a fare lo stesso lavoro di tuo papà, se tuo papà è uno dei più bravi di sempre a fare quel lavoro e Joe Hill ce l’ha. Ma è coraggio, non incoscienza. I suoi racconti, inevitabilmente kinghiani (a parte uno di matrice gaimaniana) funzionano. Intrattengono, fanno venire qualche brivido qua e là e, insomma, si leggono con piacere. Niente di indimenticabile, però.

Alla fine dell’arcobaleno – Vernor Vinge (Urania Mondadori)
In un futuro relativamente prossimo, la scienza medica ha trovato la cura per l’Alzheimer e le persone malate possono tornare in possesso delle loro piene facoltà mentali. Il romanzo segue le vicende di un anziano poeta, che si trova a dover fare in conti con un mondo in cui gli strumenti di comunicazione informatici hanno portato alla compresenza (grazie a interfacce evolute) di “reale” e “virtuale”. E in cui un progetto di digitalizzazione brutale minaccia di far scomparire per sempre i libri cartacei. Un po’ il libro ideale da leggere in un mese in cui si è deciso di sfruttare un po’ di più il Kindle. Vinge, che con questo romanzo ha vinto un premio Hugo, fa sudare più di una camicia al lettore sbattendolo brutalmente in un mondo sulla cui terminologia e caratteristiche fornisce pochissime spiegazioni, per creare la giusta empatia con l’altrimenti urtante protagonista. Nel prezzo è compreso anche un omaggio all’opera di Pratchett (anche lui malato di Alzheimer) che è davvero un bel gesto. Comunque è un bel libro di fantascienza, ostico e stimolante il giusto.
Non fosse che… l’edizione italiana è tagliata rispetto all’originale. Non è scritto da nessuna parte nel libro, se ne è accorto un lettore che aveva la versione originale. La novità è che da qualche tempo Urania a ripreso a tagliare (fino al 15%, cioè un settimo circa) i libri se sono troppo lunghi. Con il benestare dell’autore (e vorrei anche vedere) ma senza segnalarlo. C’è stata una discussione sul blog di Urania, con una presa di posizione piuttosto spiacevole di Giuseppe Lippi. Direi che, come regola, c’è il rischio che gli Urania che arrivano alle 350 pagine siano in qualche modo tagliati. Poi magari uno li compra uguale, ma sarebbe bello poter scegliere.

Makers – Cory Doctorow [Kindle]
Romanzo di fantascienza contemporaneo, Makers mi ha ricordato per molti versi
R.A. Heinlein. Mentre racconta una rivoluzione tecnologica ed economica e le sue conseguenze, Doctorow riesce a esporre, attraverso i protagonisti della vicenda, le sue idee sulla proprietà intellettuale, sulle potenzialità della tecnologia, sull’economia. Ma la qualità più straordinaria del libro è l’evidente voglia di raccontare, direi quasi gioia di raccontare, che Doctorow mette nella sua scrittura e che rende la lettura un vero e proprio piacere. È un Grande Romanzo Americano per geek, in cui i personaggi positivi usano blog, twitter, sistemi open source e in cui quelli negativi si fanno stampare le email. E che racconta un sacco di cose interessanti sul nostro futuro, in cui difficilmente le macchine voleranno, ma in cui sicuramente la tecnologia sarà sempre e sempre più presente negli oggetti quotidiani. Un romanzo così non fa che venirti voglia che sia già domani. Makers si scarica da qui.

Un certo tipo di intimità – Jenn Ashworth (e/o)
In realtà l’ho letto un paio di mesi fa perché a Torino un’amica (grazie Silvia) me ne ha allungato le bozze rilegate (una sorta di versione beta, non corretta, che a volte si dà in giro a giornalisti o librai perché si possano fare un’idea del libro). Solo che non sapevo bene se fosse il caso di parlarne prima dell’uscita, fosse anche solo perché poi magari uno lo va a cercare in libreria, non lo trova e poi non ci pensa più. E sarebbe un peccato perché è un libro che merita, con la sua storia di follia e ossessione raccontata senza patetismo e, per questo, ancora più toccante. È la storia di Annie, una ragazza di ventisette anni, afflitta da obesità, che arriva in un nuovo quartiere dopo un divorzio. E si innamora di uno dei suoi vicini, dalla quale si sente ricambiata. La Ashworth è brava a dosare le rivelazioni, a svelare a poco a poco Annie e la sua storia, dipanando un intreccio che lievita pagina dopo pagina, accumulando tensione. Annie è un personaggio a tutto tondo, parente – già dal nome – dell’infermiera psicotica di Misery, coerente nella sua follia, carnefice e vittima allo stesso tempo. Un buon romanzo drammatico con cadenze da thriller.

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(De)Genere

Volevo scrivere qualcosa sull’intervento di Raul Montanari, che dalle pagine di Satisfiction, la free press letteraria diretta da Gian Paolo Serino, propone per i suoi romanzi l’etichetta di post-noir.
Solo che da lì è scaturita una discussione talmente interessante che al quarto commento sono caduto in un sonno così profondo che è andata a finire che mi hanno seppellito vivo. Meno male che Kill Bill 2 ci ha insegnato come si esce da una tomba, altrimenti mica ero qui a scrivere.
A ogni modo, la chiusa migliore alla questione l’ha data Giampaolo Simi su Nazione indiana:

Se parliamo di post-noir saremmo inoltre di fronte al post di qualcosa che a malapena [nella letteratura di genere italiana] c’è stato.

Amen.

Però è affascinante l’entusiasmo che Serino ci mette nell’introdurre la discussione:

Una nuova definizione che vuole travalicare i generi, le gabbie giornalistiche ed editoriali e che, partendo dal carteggio tra Raul Montanari, Grazia Verasani e Gianni Biondillo, coinvolge scrittori, editori, lettori anche fuori dalla carta in un mondo che è davvero diventato post-noir.

Affascinante soprattutto quando ti rendi conto che Serino i generi ha iniziato a travalicarli in modo molto disinvolto. Per esempio, è convinto che Neil Gaiman sia un autore cyberpunk:

Forse Neil Stephenson?

ps: per carità di patria, taceremo sulla “provocazione” di Vasco Rossi, sempre sulle pagine di Satisfiction.

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