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Bonelliana – Febbraio 2016

Bonelliana, opinioni non richieste sugli albi Bonelli del mese precedente.
Contiene Adam Wild, Le Storie, Morgan Lost, Dylan Dog (ben sette storie), Tex.
Sigla.

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Bonelliana – Gennaio 2016

Sergio_Bonelli_Editore

Con l’anno nuovo cerco di fare rivivere una rubrica che ha avuto vita brevissima: Bonelliana, le recensioni dei fumetti Bonelli che ho letto il mese precedente. Contiene Adam Wild, Le Storie, Nathan Never, Morgan Lost, Dylan Dog. Continua a leggere

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Bonelliana, marzo 2015 (Adam Wild, Ringo, Le Storie, Nathan Never, Coney Island, Dylan Dog Magazine, Dylan Dog, Dylan Top)

Bonelliana: opinioni non richieste sui fumetti Bonelli che seguo.
Questo mese con un bonus.

Copertina di Darko Perovic - Adam Wild 6

Copertina di Darko Perovic

Adam Wild 6, “L’incubo della giraffa”
(Gianfranco Manfredi – Paolo Raffaelli)

In Africa, si sa, la mattina come ti svegli tocca correre. Ma correre è difficile se hai perso una gamba andando a caccia di giraffe. E ancora peggio, se la notte sogni la giraffa per colpa della quale ti hanno dovuto mozzare una gamba, che forse è una specie di spirito malvagio.

LUCIDISSIMO.

LUCIDISSIMO.

Il sesto episodio di Adam Wild abbandona per un po’ la lotta agli schiavisti per buttarsi in una storia che forse vira sul sovrannaturale e forse no, ispirata alla mitologia africana. Se l’idea di una giraffa in fiamme, come si vede in copertina, può sulle prime fare un po’ sorridere, lo svolgimento della storia, supportato dai bei disegni nervosi di Raffaelli, vira verso atmosfere cupe appena stemperate dal conte Molfetta, qui in veste di più canonica spalla. Tra le cose che si imparano: la giraffa è una bestiaccia feroce – del resto pure lei tutte le mattine deve alzarsi e correre, chi non diventerebbe nervoso? – che si batte con i suoi simili usando la testa come un maglio. Se poi volete dedicarvi alla sua caccia, un metodo tradizionale è quello di sgarrettarla da cavallo. Dagli organi della giraffa si ricava un potente allucinogeno.


 

ringo6

Copertina di Emiliano Mammuccari

 

Orfani: Ringo 6, “Come pioggia”
(Roberto Recchioni, Mauro Uzzeo – Alessio Avallone – Nicola Righi)

Prosegue il viaggio di Ringo, Rosa, Nuè e Seba (una/o dei tre è suo figlia/o ma non sappiamo chi) in un’Italia post-apocalittica. Questa volta il trio fa tappa da qualche parte nell’Appenino tosco-emiliano per un numero di riflessione e di approfondimento psicologZZZZZZZZZZ Continua a leggere

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Bonelliana, febbraio 2015 (Adam Wild, Dampyr, Dylan Dog, Tex, Julia, Ringo, Le Storie)

Sergio_Bonelli_Editore

Provo a ridare vita a una rubrica regolare: nasce oggi Bonelliana, che si occuperà degli albi Bonelli letti nel mese passato.
Perché solo i Bonelli? Perché ne leggo diversi, da quasi quindici anni, e trovo interessante la fase nuova che si è aperta nella casa editrice dopo la morte di Sergio Bonelli (a proposito, qui si può scaricare l’ebook collettivo che assemblai su di lui).
Quindi è una roba un po’ da fanboy. Astenersi “i fumetti Bonelli sono tutti copiati”, “Dylan Dog è finito con il numero 100”, “Kit Carson mica era quello lì” e via dicendo.

Copertina di Darko Petrovic

Copertina di Darko Petrovic

Adam Wild 5, “La terza luna”
(Gianfranco Manfredi – Antonio Lucchi)

In appena due numeri, AW è diventato una delle mie serie irrinunciabili. Dopo la pesantezza di Shangai Devil, Manfredi ha azzeccato un personaggio sopra le righe, che riesce a essere il classico eroe tutto d’un pezzo senza sembrare anticaglia da museo. Merito probabilmente della cura con cui è ricostruita l’Africa ottocentesca e del cast di comprimari, su cui spicca il nobile italiano Narciso Molfetta, figura che come già Poe in Magico Vento esula dai tipici doveri della spalla bonelliana senza però distaccarsi completamente da quel ruolo. Per farla breve, questo quinto numero conferma quanto di buono visto finora: una storia lineare ma trascinante, cattivi facilmente identificabili, azione, violenza e nozioni storiche. Ai disegni, Lucchi si produce in un esordio poderoso e dinamico, forse fin troppo: il suo stile si distacca da quello più realistico visto finora nella serie e avrebbe fatto faville su una serie più “guascona” come Long Wei.
Però niente da dire: we want more.

adam 3 Continua a leggere

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Tranquilli, tutta colpa dei fascisti

Gheddafi a volte ricorda un po’ Pannella, per certi versi. Imprevedibile, pronto a balzare di qua o di là a seconda delle necessità e con un gusto tutt’altro che sobrio per la provocazione. Oggi, 10 giugno, si è presentato a Roma con appesa alla divisa la fotografia di Omar al-Mukhtar, condottiero libico che combattè contro le truppe coloniali italiane negli anni venti.

Su Nipresa ho commentato la cosa con le parole “Gheddafi porta il New Italian Epic al cuore dello Stato”. Il che un po’ è fatto per il LOL e un po’ invece no.
Dei sette punti identificati da Wu Ming 1 mi intriga parecchio quello che riguarda l’ucronia potenziale. Che significa, “ucronia potenziale”? Raccontare gli snodi della storia, dice WM1, quei momenti in cui sono esistiti, anche solo per poco, altri mondi, che da qui possono quasi sembrarci di pura speculazione, frutto di un “what if…?”.
Se si applica all’Italia questo ragionamento funziona amplificato un milione di volte. Quanto conosciamo la nostra storia? Pochissimo.
Questo vale tanto per il nostro passato remoto quanto per quello più prossimo.
Non a caso tre delle opere che ruotano attorno al NIE hanno a che fare con il passato coloniale dell’Italia. Sono la miniserie a fumetti Volto Nascosto, scritta da Gianfranco Manfredi, il romanzo L’ottava vibrazione di Carlo Lucarelli e L’inattesa piega degli eventi di Enrico Brizzi. Quest’ultimo è un’ucronia vera e propria, i primi due esempi invece raccontano semplicemente storie che si svolgono attorno alla battaglia di Adua del 1896, ma sembrano in qualche modo delle ucronie pure loro, dei western ambientati in Africa con degli italiani al posto dei cowboy e dei soldati americani.
Questo perché ci portiamo dietro una scarsissima conoscenza delle due fasi della nostra avventura coloniale in Africa. Sulla seconda, poi, che si fonde con l’esperienza del fascismo, è calato quel velo di placido revisionismo che fa tanto chic. Eravamo là a portare la civiltà, abbiamo costruito tante cose, comunque italiani brava gente. Ovviamente non andò proprio così e in Libia abbiamo fatto quello che solitamente si fa quando si va a conquistare un posto dove vive dell’altra gente: ne si ammazza o si deporta il più possibile per far posto alla propria.
Non si tratta di fascismo o non fascismo, è la brutale normalità della guerra.

Perché lo specifico?
Perché, per tornare all’adesso, per dare la notizia della foto appiccicata alla giacca di Gheddafi, sia Repubblica.it che Corriere.it hanno scritto che il guerrigliero libico era stato ucciso “dai fascisti”.
Una locuzione che è un po’ un comodo scaricabarile per continuare a far finta di nulla sul nostro non proprio glorioso e luminoso passato coloniale (pardon: imperiale). La logica è questa: l’hanno fatto i fascisti, quindi noi che siamo anti-fascisti possiamo tranquillamente considerarci assolti, visto che lo condanniamo insieme a tutti gli altri crimini del fascismo. Il discorso è sempre quello che facevo sul 25 aprile: si dà per scontato che il passato sia stato superato, che siamo stati assolti.
In realtà, semplicemente, rimuoviamo, lasciamo decantare i ricordi, ci teniamo solo quello che ci fa comodo e tiriamo avanti.
Cioè: tiriamo avanti per modo di dire, perché questa faccenda ha un’appendice buffa o quasi.

Su Omar al-Mukhtār è stato realizzato un film, nel 1981. Si chiama Il leone del deserto e l’ha pesantemente finanziato lo stesso Gheddafi. Se non l’avete mai sentito nominare (io ricordo che ne parlò Seaweeds perché il regista del film, anche produttore della serie di Halloween, è rimasto ucciso in un attentato di Al Qaeda ad Amman) nonostante un cast piuttosto importante non è che vivete fuori dal mondo: semplicemente, in Italia non ha mai passato il visto della censura. Il perché ce lo spiega lo storico Denis Mack Smith:

Mai prima di questo film, gli orrori ma anche la nobiltà della guerriglia sono stati espressi in modo così memorabile, in scene di battaglia così impressionanti; mai l’ingiustizia del colonialismo è stata denunciata con tanto vigore….Chi giudica questo film col criterio dell’attendibilità storica non può non ammirare l’ampiezza della ricerca che ha sovrinteso alla ricostruzione. *

Chiaro, no?
La commissione censura si incazzò, Andreotti parlò di vilipendio delle forze armate (che si vilipendono benissimo da sole, come sa chiunque abbia fatto anche solo la visita dei tre giorni) e chiusa lì.
A tutt’oggi, il film ha avuto solo proiezioni pubbliche semiclandestine, in Italia. Dopo ben 28 anni lo trasmetterà Sky, l’11 giugno. Luca Sofri garantisce che è noiosissimo (quindi probabilmente è bellissimo) ma il punto non è questo.
Il punto è che una nazione che per ricordarsi un pezzettino (non propriamente edificante) della sua storia che aveva messo in soffitta per non pensarci più deve aspettare che arrivi un loschissimo dittatore che assomiglia a Gene Simmons, conciato come un pagliaccio, con un codazzo di signore in divisa che neanche in un videogioco della Capcom, con appiccicata sulla giacca un foto incorniciata, beh, questa nazione sta messa davvero male.

ps: visto che mi sono sacrificato per voi, ve lo dico. Il tg4, che mi sono premurato di guardare, non ha detto una parola sulla foto appiccicata alla giacca di Gheddafi. Figuriamoci.

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