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Roberto Recchioni ha ucciso Dylan Dog

Disegno di Maurizio Rosenzweig

Nell’agosto del 2005, per la precisione, sulle pagine del numero 28 di John Doe, “La natura della Bestia”, quarto numero della seconda stagione della serie.
Erano i giorni in cui JD, la serie creata da Recchioni e Lorenzo Bartoli e pubblicato dall’Eura, una casa editrice romana famosa per le riviste Lanciostory e Skorpio, oltre che per le serie dedicate a Dago, era diventata una realtà solidissima del fumetto da edicola, presentando nel tradizionale formato “a quaderno” storie e disegni che era all’epoca impossibile trovare nei fumetti Bonelli.
Anche il concetto di serialità era diverso da quello bonelliano: lo spunto iniziale del numero uno (un umano responsabile di un’organizzazione metafisica che si occupa di gestire la morte degli esseri umani scopre che la Morte non sta rispettando le regole, le ruba la falce e fugge per impedirle di mettere in atto il suo piano) viene risolto dopo due anni di storie, definiti la prima stagione (come nelle serie tv), e con il numero 25 inizia una nuova stagione con nuove premesse e una trama orizzontale ancora più marcata, per cui gli episodi singoli diventano quasi incomprensibili.
Bartoli e Recchioni avevano scommesso, con John Doe, e raccoglievano i frutti: la serie vendeva bene e raccoglieva l’apprezzamento dei lettori e della critica. Ovviamente non sempre tutto era perfetto, ma il bello era vedere una serie che quando sbagliava lo faceva perché aveva puntato troppo in alto, non perché si era rinchiusa in dei cliché.

Copertina di Massimo Carnevale
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Dylan Dog 362 – Dopo un lungo silenzio

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E poi un giorno, dopo un lungo silenzio, esce un Dylan Dog con una storia nuova di Tiziano Sclavi (e una copertina paracula e bellissima che al tempo stesso cita Non è successo niente – il devastante romanzo tri-autobiografico di Sclavi -, saluta Angelo Stano che dal mese prossimo non disegnerà più le copertine di Dylan ed è ottima da farsi dedicare a Lucca Comics).
Esce un Dylan Dog di Tiziano Sclavi e tutte le chiacchiere sulla serie non servono più a nulla perché, ehi, ci sono 96 pagine di Dylan Dog scritte da Tiziano Sclavi da leggere.

Tiziano Sclavi secondo Alfredo Castelli

Tiziano Sclavi secondo Alfredo Castelli

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Dylan Dog 361 – Mater Dolorosa

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Devo dire che non ho mai amato il numero 100 di Dylan Dog.
Certo, era lodevole l’intento di ricucire insieme i pezzi sparsi della mitologia “dylaniata” (santi numi), come Xabaras (che già sapevamo essere il padre di Dylan) e i morti viventi, Morgana, il modellino di galeone mai terminato, l’affermazione di Groucho che Dylan Dog sarebbe in realtà morto nel XVII secolo… Il risultato, però, era stato ben al di sotto delle aspettative, con uno Sclavi stanco che confezionava una storia strampalata ambientata in parte nel XVII secolo, appioppava a Dylan un complesso d’Edipo grande come una casa facendo di Morgana sua madre, trasformava Xabaras nella metà malvagia del padre di Dylan e confinava la metà buona ai confini dell’universo in compagnia di un pupazzo di Jim Henson. Il tutto accompagnato da uno Stano colorato con la noncuranza tipica dei colori Bonelli di una volta, che non aiutava certo a calarsi nella storia (per giunta pensata per essere il finale della serie o almeno uno dei possibili finali della serie) (tanto che per anni, per vezzo, ho tenuto l’albo in fondo allo scaffale).

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Quando Mater Dolorosa, storia che celebra il trentennale di Dylan Dog, è iniziata riportandomi sul galeone dove il futuro Xabaras sta cercando di scoprire il segreto dell’immortalità, accompagnato dalla moglie Morgana e dal giovanissimo Dylan, ho temuto il peggio.
C’è voluto pochissimo, però, per scoprire che quella storia non era poi così sbagliata. Era solo stata raccontata non bene come avrebbe potuto; c’è una battuta che gira tra i fan di un altro Dylan, Bob, secondo la quale non esistono sue brutte canzoni, ma solo canzoni per cui non ha ancora trovato l’arrangiamenti giusto. Ecco, forse la genesi dell’universo di Dylan Dog aveva bisogno di qualcuno che ne prendesse le parti migliori e le raccontasse in un altro modo.

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La prima grande intuizione di Roberto Recchioni è quella di saldare la mitologia creata da Sclavi con quella che lui ha iniziato a forgiare sulla serie: nello specifico, l’introduzione nella ricerca dell’immortalità di Dylan senior della variabile imprevista Mater Morbi (la personificazione della malattia al centro dell’omonimo albo con cui Recchioni ha fatto capire cosa poteva fare con Dylan Dog) funziona perfettamente e carica quella storia, tutto sommato un po’ lineare, di un nuovo livello di sfida.
La seconda è quella di portare sulle pagine di un numero celebrativo Bonelli, che la tradizione vuole a colori, un disegnatore che pensi direttamente a colori: Gigi Cavenago aveva già realizzato le copertine per i Maxi Dylan Dog, ma ancora non aveva affrontato un albo intero. Cavenago è l’arma segreta che dà vita a tutto l’albo, ma in particolare trasforma il galeone, fin dalle prime pagine, dal modellino Playmobil che era nel numero 100 in una scenografia spaventosa, una specie di antro dello stregone in mezzo a un mare in tempesta. C’è tutto un lavoro sul colore, sul suo uso narrativo per rimarcare i diversi momenti dell’albo, che lascia a bocca aperta; e non è un caso di fumetto “pittorico” composto da tante belle illustrazioni statiche. È fumetto vero, immagini che raccontano e racconterebbero anche senza i balloon.
Cavenago non è che alza l’asticella dell’uso dei colori in albo “classico” Bonelli: la prende e se la porta a casa. La rivolete? Andatevela a prendere.

Nell'ultima vignetta, all'improvviso, David Tennant in Broadchurch

Nell’ultima vignetta, all’improvviso, David Tennant in Broadchurch

Ovviamente, Mater Dolorosa non è solo un esercizio di retro-continuity sul passato di Dylan Dog (non solo il numero 100, ma anche il 74, Il lungo addio, è oggetto di rivelazioni), ma anche un’anticipazione di cose che succederanno, per bocca di John Ghost, il personaggio introdotto di recente per essere una nuova nemesi di Dylan e che per ora è rimasto nell’ombra.
È anche una storia un po’ alla Sclavi, che contiene alcune sequenze non necessariamente collocabili nella realtà o nel sogno – come il sabato sera di Dylan, sinistramente simile a quello di un certo Francesco Dellamorte.

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Tutto perfetto?
No, non tutto perfetto.
Dove l’albo gira a volte a vuoto è soprattutto nello scontro tra Morgana e Mater Morbi. Il confronto tra le due donne è gestito attraverso una serie di dialoghi tra il didascalico e il meccanicamente teatrale, che smorzano un po’ la portata di quello che dovrebbe essere il cuore dell’albo.
In parte riprende uno stile già visto in Orfani e che poteva funzionare lì (e per me ogni tanto girava a vuoto anche lì); nello scontro metafisico tra una donna del Seicento e la personificazione di un concetto certi toni stridono un po’ e rendono la lettura meno scorrevole e “naturale” di quello che dovrebbe.

Copertina di Massimo Carnevale

Copertina di Massimo Carnevale

Ma, nonostante tutto, resta forse il miglior albo “celebrativo” di Dylan addirittura dai tempi del 121, Finche morte non vi separi, perché cerca – e sotto molti aspetti ci riesce – di essere qualcosa di unico, sia visivamente sia narrativamente.
È una testimonianza della ritrovata vitalità della testata, che da quando è passata sotto la cura di Recchioni, pur tra alti e bassi inevitabili ha mostrato una grande quantità di approcci diversi all’Indagatore dell’Incubo, spesso da parte di esordienti sulla collana o in Bonelli.
Anche se forse per ora la cosa migliore della nuova fase è il rilancio della collana degli Speciali con le storie del “pianeta dei morti”, con Dylan Dog cinquantenne in un’Inghilterra infestata da zombi. Un’ambientazione creata da Alessandro Bilotta, che nei due Speciali finora scritti da lui, il 29 dello scorso anno, La casa delle memorie,  e quello attualmente in edicola, La fine è il mio inizio, sta continuando anche lui a ricomporre, a suo modo, la mitologia sclaviana, con effetti di grandissimo fascino.
E intanto, il mese prossima, torna in edicola Tiziano Sclavi con una nuova storia dedicata all’alcolismo di Dylan.
What a time to be undead.

Ps: il titolo dell’albo mi ricorda una cosa che mi raccontò mia madre, che insegnava matematica alle medie. Un giorno arrivò dal ministero un test di logica da sottoporre agli alunni, domande a risposta multipla. Una domanda era: “Una madre ha sempre: a. dei figli; b. delle amiche; c. dei dolori”. La maggior parte degli alunni, quindi ragazzini dagli 11 ai 13 anni, scelse la risposta c. Dei dolori.

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Bonelliana – Gennaio 2016

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Con l’anno nuovo cerco di fare rivivere una rubrica che ha avuto vita brevissima: Bonelliana, le recensioni dei fumetti Bonelli che ho letto il mese precedente. Contiene Adam Wild, Le Storie, Nathan Never, Morgan Lost, Dylan Dog. Continua a leggere

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Bonelliana, marzo 2015 (Adam Wild, Ringo, Le Storie, Nathan Never, Coney Island, Dylan Dog Magazine, Dylan Dog, Dylan Top)

Bonelliana: opinioni non richieste sui fumetti Bonelli che seguo.
Questo mese con un bonus.

Copertina di Darko Perovic - Adam Wild 6

Copertina di Darko Perovic

Adam Wild 6, “L’incubo della giraffa”
(Gianfranco Manfredi – Paolo Raffaelli)

In Africa, si sa, la mattina come ti svegli tocca correre. Ma correre è difficile se hai perso una gamba andando a caccia di giraffe. E ancora peggio, se la notte sogni la giraffa per colpa della quale ti hanno dovuto mozzare una gamba, che forse è una specie di spirito malvagio.

LUCIDISSIMO.

LUCIDISSIMO.

Il sesto episodio di Adam Wild abbandona per un po’ la lotta agli schiavisti per buttarsi in una storia che forse vira sul sovrannaturale e forse no, ispirata alla mitologia africana. Se l’idea di una giraffa in fiamme, come si vede in copertina, può sulle prime fare un po’ sorridere, lo svolgimento della storia, supportato dai bei disegni nervosi di Raffaelli, vira verso atmosfere cupe appena stemperate dal conte Molfetta, qui in veste di più canonica spalla. Tra le cose che si imparano: la giraffa è una bestiaccia feroce – del resto pure lei tutte le mattine deve alzarsi e correre, chi non diventerebbe nervoso? – che si batte con i suoi simili usando la testa come un maglio. Se poi volete dedicarvi alla sua caccia, un metodo tradizionale è quello di sgarrettarla da cavallo. Dagli organi della giraffa si ricava un potente allucinogeno.


 

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Copertina di Emiliano Mammuccari

 

Orfani: Ringo 6, “Come pioggia”
(Roberto Recchioni, Mauro Uzzeo – Alessio Avallone – Nicola Righi)

Prosegue il viaggio di Ringo, Rosa, Nuè e Seba (una/o dei tre è suo figlia/o ma non sappiamo chi) in un’Italia post-apocalittica. Questa volta il trio fa tappa da qualche parte nell’Appenino tosco-emiliano per un numero di riflessione e di approfondimento psicologZZZZZZZZZZ Continua a leggere

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Bonelliana, febbraio 2015 (Adam Wild, Dampyr, Dylan Dog, Tex, Julia, Ringo, Le Storie)

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Provo a ridare vita a una rubrica regolare: nasce oggi Bonelliana, che si occuperà degli albi Bonelli letti nel mese passato.
Perché solo i Bonelli? Perché ne leggo diversi, da quasi quindici anni, e trovo interessante la fase nuova che si è aperta nella casa editrice dopo la morte di Sergio Bonelli (a proposito, qui si può scaricare l’ebook collettivo che assemblai su di lui).
Quindi è una roba un po’ da fanboy. Astenersi “i fumetti Bonelli sono tutti copiati”, “Dylan Dog è finito con il numero 100”, “Kit Carson mica era quello lì” e via dicendo.

Copertina di Darko Petrovic

Copertina di Darko Petrovic

Adam Wild 5, “La terza luna”
(Gianfranco Manfredi – Antonio Lucchi)

In appena due numeri, AW è diventato una delle mie serie irrinunciabili. Dopo la pesantezza di Shangai Devil, Manfredi ha azzeccato un personaggio sopra le righe, che riesce a essere il classico eroe tutto d’un pezzo senza sembrare anticaglia da museo. Merito probabilmente della cura con cui è ricostruita l’Africa ottocentesca e del cast di comprimari, su cui spicca il nobile italiano Narciso Molfetta, figura che come già Poe in Magico Vento esula dai tipici doveri della spalla bonelliana senza però distaccarsi completamente da quel ruolo. Per farla breve, questo quinto numero conferma quanto di buono visto finora: una storia lineare ma trascinante, cattivi facilmente identificabili, azione, violenza e nozioni storiche. Ai disegni, Lucchi si produce in un esordio poderoso e dinamico, forse fin troppo: il suo stile si distacca da quello più realistico visto finora nella serie e avrebbe fatto faville su una serie più “guascona” come Long Wei.
Però niente da dire: we want more.

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Surviving #SalTo13: fatto.

(è un post un po’ ombelicale, ma devo riprendere la mano a scrivere sul blog)

Se il buongiorno si vede dal mattino, il mattino è questo: alla stazione della metropolitana di Torino Lingotto si forma davanti alla scala mobile un’incredibile e ordinata coda sabauda. È quasi il mio momento di salire quando tre signore molto milanesi, molto con le facce e gli abiti di quelle che per Berlusconi hanno un’ostilità antropologica si infilano di lato con molta naturalezza, senza che una delle tre smetta di raccontare di una qualche esperienza educativa che ha fatto con una classe di bambini. “Ci devi fare un libro,” cinguetta garrula un’altra, che immagino più tardi andrà a firmare un manifesto per la legalità e le regole.

Quest’anno ho sentimenti meno estremi nei confronti del Salone, a posteriori. Sarà che ci ho passato meno tempo, sarà che non ho fatto il disallestimento, sarà che ho girato pochissimo.

Momento migliore durante la lunghissima fila per farmi fare un disegno da Zerocalcare: c’è questo ragazzetto, minorenne, molto regolare, con il suo maglioncino e la camicia, ogni tanto passa la mamma a vedere come va. Quando è il suo momento, ZC parte con il campionario dei soggetti, che dovreste sentire recitato da lui perché dal tono e dall’automatismo capite quante dediche abbia fatto dall’uscita del primo volume, e il ragazzetto sceglie “tizio che tira la molotov”. “Volto coperto o scoperto?” (ZC è professionalissimo). “Coperto”. Più o meno alla fine del ripasso a china (parlando di professionalità: fa la bozza a matita, ripassa a china, dà il grigio con il pennarello) arriva Luca Sofri. Ed è bello questo momento in cui un disegnatore “dei centri sociali” mentre disegna uno che tira una molotov per il ragazzino borghesissimo (che si chiama Gian Giacomo, a questo punto mi piace immaginare come Feltrinelli per volontà di una famiglia molto radical-chic) parla con il direttore di un giornale che fa endorsment per il PD e che una volta conduceva un programma con Giuliano Ferrara.

Sempre allo stand Bao ho preso la ristampa cartonata e in grande formato di Mater Morbi, la storia di Dylan Dog scritta da Roberto Recchioni e disegnata da Massimo Carnevale che alla sua uscita suscitò polemiche sul tema della malattia e dell’eutanasia, con intervento a gamba tesa della sottosegretaria alla salute dell’epoca, Eugenia Roccella, che poi dovette ritrattare perché aveva commentato senza avere letto la storia (ma tanto sono solo fumetti). Ristampata e con sei tavole inedite a colori di prologo, la storia guadagna tantissimo nell’impatto visivo, grazie a una stampa precisissima su una bella carta uso mano. Ieri sera mentre leggevo ogni tanto mi imbambolavo a guardare la resa dei neri, profondissimi, che fanno pienissima giustizia ai disegni di Massimo Carnevale.

C’era lo stand del Centro per il libro e la lettura, una struttura pubblica diretta da Gian Arturo Ferrari (ex direttore generale della Divisione libri di Mondadori) che ha “il compito di divulgare il libro e la lettura in Italia e di promuovere all’estero il libro, la cultura e gli autori nazionali”. Nello specifico promuovevano l’iniziativa Il maggio dei libri (non pervenute le lamentele della Madonna per l’usurpazione del mese; ma non pervenute nello specifico neanche le modalità esatte di questo mese del libro), di fatto c’era una povera persona costretta a bivaccare lì 12 ore e distribuire volantini e segnalibri. La decorazione dello stand era un collage di copertine di libri italiani; magari avrò guardato male io, ma non ce n’era uno posteriore ai primi anni sessanta. Una bella iniezione di fiducia.

Ogni anno mi tocca beccarmi lo sfogo di una persona che si lamenta perché non ci sono gli sconti e perché i libri costano troppo. Alle 19.44, con ancora tre ore davanti.

Grande novità dell’anno, l’area “Lounge espositori” dove si potevano mangiare cose più buone di quelle che toccano ai visitatori (per esempio l’hot dog con il pane freddo e il würstel mezzo crudo). Code lunghette, ma tutto sommato il panino con la salsiccia cruda di Bra meritava un assaggio.

Stand più affollato, senza dubbio, quello dove regalavano il Grand Soleil, al confine con l’area Cook Book. Grande novità di quest’anno, in linea con la nuova passione per i cuochi, a Cook Book si poteva trovare una libreria dedicata ai titoli sulla cucina e la gastronomia e un’area dove si sono esibiti ai fornelli nomi noti della ristorazione e della tv. Anche Benedetta Parodi, sì.

(premesso che ho molti amici abruzzesi) Ingombrante vicino di stand, la Regione Abruzzo festeggiava i 150 anni della nascita di D’Annunzio con un’esposizione di cimeli (mancavano: lastre di vetro sporche, costole) e una serie di incontri e spettacoli. Amiche e amici abruzzesi, voi non avete idea di come spende i vostri soldi la vostra regione. Tipo che a un certo punto (le otto di sera, dopo dieci ore che stai in fiera) (dieci ore di neon e cupo rombo della morte fatto dal chiacchiericcio di migliaia di persone) partono gli zampognari. E i canti in dialetto. E un altra sera un tenore che cantava CON IL MICROFONO, per giunta composizioni giovanili del Vate musicate.

L’organizzazione ha sbagliato i cartelli dello stand di una nota casa editrice romana, diventata per quest’anno minimun fax.

A sorpresa, non c’era la Panini Comics. Voci di corridoio dicevano che hanno fatto talmente tanti soldi a Lucca che non si sono presi il disturbo di muoversi per una fiera per loro non così vantaggiosa (era vantaggiosa per me, perché avendoli come vicini qualche buon affare si riusciva sempre a combinare), mannaggia)

Un sentito grazie al ristorante La via del sale, per averci dato anche quest’anno da mangiare a un’ora indecente, resa ancora più indecente dal fatto che abbiamo parcheggiato all’altra estremità della via e in centro a Torino, se non lo sapete, le vie sono luuunghe. Fanno cucina piemontese con qualche influsso ligure, nel nostro caso riscontrabile soprattutto nel rapporto con il cameriere (ma in fondo non aveva tutti i torti: siamo arrivati con mezz’ora di ritardo e al “cosa prendete?” ci sono stati lunghi momenti di uuuhm, eeehm) (inoltre: gli emiliani sembrano andare molto in panico davanti a piatti estranei alla loro tradizione, o almeno quelli che conosco io). Acciughe al verde FTW, comunque.

Breve elenco di avVIPstamenti: uno degli Zero Assoluto (credo Zero), Benedetta Parodi, un anziano che una volta era De Gregori, Sergio Romano, Gad Lerner, Khaled Fouad Allem (che ho solo registrato come volto riconosciuto ma che ho dovuto cercare sul sito del Salone) (se vi dico chi credevo che fosse, senza alcuna base logica, mi spernacchiate a vita), il ministro Cecile Kyenge, Gian Arturo Ferrari, Giulio Coniglio.

Cosa mancava al Salone? Esatto, i cosplayer, nello specifico di Star Wars, portati dallo stand delle edizioni Multiplayer. A uno di loro però sono stato costretto a stringere la mano: in uno stand di non so cosa c’era un grosso braccio meccanico in movimento che dimostrava non so cosa e al di là del vetro un tizio vestito con il tipico accappatoio Jedi usava la Forza per farlo muovere. Non sono mai stato così tanto vicino a usare l’espressione “EPIC WIN” con uno sconosciuto.

La cosa più interessante da leggere al Salone? Le magliette dei partecipanti. Sembra che ormai la popolazione tra i 15 e i 45 anni passi l’inverno ad accumulare magliette spiritose o ispirate a film, fumetti, telefilm, per poterle poi sfoggiare ai primi caldi. Ho persino visto uno che aveva la mia stessa maglietta con Klimt Eastwood (meno male che io in quel momento avevo quella di Cthulhu vs. Godzilla, altrimenti sai che imbarazzo?).

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