Ci sarebbero un sacco di cose di cui parlare. Minorenni, trasmissioni tv, alluvioni. Un sacco di cose.
Però non ce la faccio.
Quindi, per la gioia dei miei venticinque lettori, parlo un po’ di fatti miei.
Nel ponte dei morti (che è un espressione molto epic metal) sono stato a Roma.
Io a Roma ci sono sempre stato per pochissimo, roba di una giornata.
L’ultima volta, per dire, ero andato per motivi di lavoro al museo della Guardia di Finanza, nella sede della Guardia di Finanza. La galleria dei ritratti dei vari comandanti è favolosa: l’ultimo era Speciale e facendo le proporzioni con le dimensioni del cappello deve essere alto più o meno come un MacPro. Poi a un certo punto mi sono trovato a reggere un moschetto del ’15-’18, così.
Comunque. Questa volta ci sono stato per un po’ di più, anche se il giro a “Roma” vera e propria è durato una giornata, da mattina a tardo pomeriggio del sabato; ore in cui però siamo riusciti a condensare non solo i luoghi più importanti (il Colosseo no, ma l’avevo già visto) ma anche tre incontri in tre posti diverse con tre persone diverse. Insomma, un ottimo risultato.
Seguono annotazioni varie.
* Roma credo che sia un sacco di città tutte insieme, una dentro l’altra e una di fianco all’altra. La città del potere, però, tutta concentrata in uno spazio tutto sommato abbastanza ristretto, è un insieme di toponomastici da levare il fiato: Botteghe Oscure (che quando da bambino guardavo i telegiornali era un nome bellissimo e misterioso), via del Corso, Piazza del Gesù (mi immagino i capelli bianchi dei confessori della chiesa di fianco alla sede della DC), palazzo Grazioli, via dell’Umiltà. A giudicare da come vengono inquadrati in tv tutte quelle facciate senza così poi tanto spazio davanti, si direbbe che a Roma si vendano grandangoli come michette calde a mezzogiorno. E poi Montecitorio. Un mio amico che lavora in degli uffici lì vicino mi raccontava come certe mattine sembri di stare in una specie di set televisivo a cielo aperto, con da una parte l’imitatore di Vespa di Striscia la notizia che si mette i nei finti in un angolo, dall’altra i tizi delle Iene che inseguono i parlamentari e, testuali parole, “i giornalisti di Sky che si calano dall’elicottero”. Ah, pare anche che alla Camera sia stato abolito de facto l’obbligo della cravatta, visto che un suo noto frequentatore non la mette mai e non può essere messo alla porta. Comunque, visto che è sabato e che lunedì è pure festa, il circo non è in città.
(che poi, immagino l’avranno detto in milioni, ma passeggiare lì attorno è così piacevole che il compromesso, il mettiamoci d’accordo, il non calpestiamoci i piedi, non facciamoci del male, sembra sorgere spontaneo. Forse dovremmo spostare la capitale in un posto meno piacevole)
* Sul serio: quanta gente lavora esattamente nella ristorazione, a Roma? Immagino che al di fuori del centro la situazione sia diversa, ma credo che dalle 10 di mattina fino al tardo pomeriggio non mi sono mai trovato nel campo visivo meno di due-tre ristoranti per volta. Che poi, chiaro, un sacco sono orribili trappole per turisti (ho visto gente che mangiava felice quelle che non potevano che essere pizze surgelate del supermercato con due fettine di salame buttate sopra), ma restano comunque un altro sacco di sacchi dove vorresti sederti e ordinare più o meno tutto. Il pranzo lo risolviamo vicino a piazza Campo dei fiori, alla Montecarlo, dove veniamo indirizzati da un amico. Siamo in tre, ordiniamo un piatto di cacio e pepe, uno di carbonara e uno di amatriciana. Approfittando della temporanea assenza di L., che è autoctona, il cameriere convince me e S. a prendere anche un paio di bruschette, ‘tanto che aspettamo. Le due bruschette sono spesse come le bistecche di Tex Willer; in teoria sono solo con il pomodoro, ma per buona misura ce le servono su un letto di fagioli. Poi arrivano i primi. Affiderei la descrizione della mia reazione a una foto:

(e non sono in posa, non sapevo di essere ripreso)
* Per la prima volta ho visto dei Caravaggio da vicino, e che Caravaggio: La crocifissione di San Pietro e La conversione di San Paolo. Impressionante il modo in cui le figure sembrano sbucare fuori dall’oscurità e l’uso della luce. È stupido e banale dirlo, ma nessuna riproduzione fotografica può rendere giustizia allo spettacolo magnifico che mettono in scena (anche perché i due quadri sono in una cappella abbastanza stretta e credo che Caravaggio avesse messo in conto il fatto che venissero visti soprattutto di scorcio, quindi visti frontalmente sono un po’ più “piatti”). Comunque, per potere accedere alla cappella, abbiamo dovuto aspettare che finisse la messa. Immagino che si siano diverse cose fastidiose nel fare il prete; dover lavorare mentre hai la chiesa piena di gente che gironzola nelle navate laterali e ti dà delle occhiatacce domandandosi quanto diamine ti ci vuole ancora a finire probabilmente è tra queste.
* Una cosa che mi sono divertito parecchio a fotografare sono le targhe affisse ai muri con le pene per chi lasciava spazzatura in strada.

1746

1753

1764
Da qualche parte deve essercene anche una con scritto “altrimenti poi ci tocca Bertolaso”. Quella del 1753 è incazzatissima e tra l’altro incoraggia la sana pratica della delazione (all’epoca la nota cantilena del “chi fa la spia non è figlio di Maria” doveva essere ancora composta; i poeti vaticani si erano incagliati su “non ha miglio dalla Pia” e non se ne usciva). Al di sotto dell’arco, ovviamente, era pieno di spazzatura. Il lettering, con quelle Q lunghissime, è bellissimo.
* Sembra incredibile, ma i romani parlano esattamente come ti aspetti dai romani. È una cosa sulle prime straniante, perché è vero che i romani non è che vivano rinchiusi all’interno del GRA e non ne hai mai incontrati. Però sentire per strada, sugli autobus, nei locali che effettivamente parlano tutti come senti alla televisione fa un certo effetto. Le due signore perbene sull’autobus che dicono “‘sti zozzoni” quando il bus passa davanti a un cinema porno sono pura commedia all’italiana.
* Posti che non pensavo esistessero: la colonia felina di largo Argentina, che ospita una gran quantità di gatti che si aggirano tra le rovine romane e la stanza dove un’associazione di volontari si prende cura di loro e ospita quelli feriti o con problemi. Superato l’impatto con l’odore appena appena penetrante che avvolge la struttura, è bello vedere questi felini che girano beati a farsi coccolare dalla gente di passaggio, che si addormentano tra le scatole di cibo o che stanno, quelli più piccoli, nelle loro gabbiette in attesa dei futuri padroni. Ho scattato abbastanza foto di felini per riempire l’internet e distruggere qualsiasi barlume di credibilità mi sia rimasta, quindi mi limiterò a questa enigmatica immagine (che non contiene gatti):

Il che mi dà un bonus di un gatto, che mi giocherò con questo gattone rosso:

Se non è Romeo lui, non so chi lo sia
* Poteva forse mancare la visita in piazza san Pietro? Certo che no. Quel giorno a Roma c’era un qualche raduno dell’Azione Cattolica, quindi la città era niente niente piena di ragazzetti. C’era un gruppo che aveva un cappellino che spiegava che erano le “Teste matte di Gesù”. Il che comunque vuol dire piazza san Pietro piena di sedie, di gente, di casino, anche nel tardo pomeriggio. C’è un gruppo di ragazzi veneti, sulla ventina. Uno a uno certo punto fa “Dovremmo andare a vedere il balcone dove si affacciava Lui”. “È quello” risponde l’amico indicando la finestra dell’Angelus. “No, non ho detto lui. Ho detto Lui, con la maiuscola” (dai, cheppalle, sei veneto e fascista. Un impeto di originalità no?). Comunque ho fotografato le prove di un orribile complotto che minaccia tutti noi:

SCIE CHIMICHE SUL VATICANO
* E a proposito di basiliche, San Giovanni in Laterano. Al di là della chiesa, che è gigantesca e leva il fiato, mi ha colpito la piazza. Che è, come dire? Piccolina. E anche mettendo insieme le vie limitrofe, mi viene ancora più da ridere a pensare alle cifre fornite dagli organizzatori di manifestazioni che si sono tenute lì, come i concertoni del Primo Maggio (prendendo le misure da Google Earth, nel 2009 avevo calcolato una densità a metro quadro da nana bianca – un’altra volta avevo fatto i conti precisi con il Circo Massimo) o il Family Day. Curiosamente, non ho visto tracce di tutti quei gruppi che riemergono solo in occasione del primo maggio e che pensavo trascorressero il resto dell’anno a bivaccare nella piazza. Però forse possono usare i sotterranei della basilica per ripararsi dagli sguardi indiscreti e provare gli incredibili duetti per cui è famoso il concertone.
Salutiamo con una cartolina:

(* Il giorno dopo siamo stati anche a Orvieto, le cui stradine e i cui panorami mi sarei certamente goduto di più se nel tardo pomeriggio della domenica non avessi iniziato ad avere tossemaldigolamalditesta tutti insieme. Però ero ancora abbastanza lucido quando ho visitato il Duomo con i meravigliosi affreschi di Signorelli. Ovviamente, era pieno di gente che faceva foto con il flash, in barba a divieti che non sono messi lì così tanto per, ma perché la luce dei flash danneggia le pitture. Il tutto sotto gli occhi dei custodi che, per usare un francesismo, se ne battevano il cazzo.)
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