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Una tomba

Nella plurisecolare storia della Roma antica, probabilmente la palma della massima sfortuna postuma tocca a Publio Vibio Mariano, proconsole e preside della Sardegna e prefetto della Legio II Italica, vissuto nella seconda metà del III secolo d.C.
La figlia di Publio, Vibia Maria Massima, fece costruire un imponente sepolcro per lui e la moglie Reginia Maxima lungo la via Cassia, arteria di ingresso alla città per chi proveniva da nord.

Non COSÌ imponente, Piranesi ha un filo esagerato

Per gli antichi romani la tomba era una questione piuttosto importante, perché preservava la memoria del nome dei defunti e, come credevano non a torto, nessuno è davvero morto fino a che qualcuno si ricorda il suo nome. Per questo, farsi seppellire vicino a luoghi di passaggio era un buon viatico per l’eternità. A volte le iscrizioni si rivolevano direttamente a eventuali viandanti perché non ignorassero le lapidi, talvolta invece minacciandoli

Qui hic mixerit aut cacarit
habeat deos Superos et Inferos iratos

«Chi piscia o caca qui (sulla tomba)
abbia gli Dei superiori ed inferi adirati»

(da qui, anche per altri esempi, anche di humour nero)

L’iscrizione scelta da Vibia per i genitori era molto sobria e informativa, quasi un curriculum:

Sacro agli dei Mani
a Publio Vibio Mariano figlio di Publio eminentissimo uomo, Procuratore
e Presidente della provincia di Sardegna, due volte Pro Pretore,
Tribuno della Coorte X Pretoriana, XI Urbana, IV dei Vigili, Prefetto della Legione
II Italica, Pro Pretore della Legione III Gallica, Centurione dei Frumentarii,
oriundo dalla colonia italica Iulia Dertona
padre dolcissimo
e a Reginia Massima madre
carissima
la figlia ed erede Vibia Maria Massima ebbe cura di costruire

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Identifichiamo e denunciamo i violenti alle manifestazioni

Foto delle cariche sugli studenti il 3 novembre a Roma. Guardate bene il manganello alzato (cliccando si va sul sito del Post, che ha la foto più in grande)

Dal manuale della polizia sull’uso del manganello, citato in Acab di Carlo Bonini:

Le indicazioni secondo le modalità di impugnatura corrette sono le seguenti: impugnare lo strumento con la mano forte, esclusivamente dall’impugnatura a nervature orizzontali.

[…]

Giova ribadire e ricordare che lo sfollagente deve assolutamente essere maneggiato nel pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti in materia e che qualsiasi altro uso, oltre a compromettere l’efficace controllo dell’arma, determina modalità di impiego censurabili e perseguibili ai sensi di legge.

[…]

L’uso ottimale dello sfollagente deve avvenire centrando l’avversario con colpi portati esclusivamente in modo diretto, con movimenti a X.

[…]

Non appare superfluo ribadire che l’impiego dello sfollagente deve essere immediatamente interrotto quando si raggiunge lo scopo dissuasivo e/o difensivo, evitando assolutamente inutili accanimenti non giustificati da azioni violente.

[…]

Lo sfollagente non va mai considerato come un mezzo punitivo; deve essere eventualmente impiegato contro gli elementi piú violenti come strumento di difesa-offesa-interdizione; deve essere utilizzato con decisione, mai con brutalità.
Lo sfollagente non deve mai essere usato contro il capo, il viso e la spina dorsale.

Sarà troppo chiedere che il signore sulla sinistra a volto scoperto, probabilmente un funzionario digos, renda conto del comportamento del suo irriconoscibile sottoposto, porca di quella troia?
Vogliamo mettere dei codici identificativi sui caschi di chi fa “ordine” pubblico, come nei paesi civili?

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La violenza fa comodo a tutti?

C’è una foto che è sulla prima pagina di tantissimi giornali italiani oggi, domenica 16 ottobre 2011. È quella di un ragazzo, a torso nudo e volto coperto, con di fianco a un’auto in fiamme, che ha appena lanciato un estintore.

Credo che l’immagine abbia solleticato la pigra immaginazione di così tanti photoeditor perché richiama ovviamente una delle immagini più famose degli ultimi dieci anni, almeno a livello di concetto.

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Sono un collega minorenne

Grazie a chi si è prestato al test sul video del corriere su tumblr.
Il punto era cercare di capire che cosa dica esattamente l’ormai famosissimo omino con il giacchino maròn ai poliziotti che lo fermano.
Quando l’ho trovato la prima volta, me l’hanno venduto come “dice sono un collega“. La prima volta ho sentito solo “sono minorenne”. Poi l’ho riascoltato senza guardare, tornando indietro, e ho sentito un “sono un collega”. L’ho riguardato e ho sentito solo “sono minorenne”. Poi, di nuovo, quel “sono un collega” a bassa voce.
E mi sono convinto.
Poi ho letto di qualcuno che diceva “guardate che quello che si sente meno è unso’minorenne“. Riascolto e a quel punto, sì, dice “so’ minorenne”. Che però, tra la voce bassa e strascicata sembra un po’ “sono un collega”. Tra l’altro subito un poliziotto gli dice “…nessuno ti sta facendo…”, che è una frase più compatibile con “sono minorenne” che con “sono un collega”
In un altro video lo si vede in azione nell’ormai altrettanto famosa sequenza del finanziere per terra e si nota una certa goffezza e titubanza (immortalata in un chiaro esempio di quello che Barthes chiama “senso ottuso” in una delle foto che lo ritraggono) e poi, appena arrestato, mentre urla “sono minorenne”. Subito dopo c’è una discussione tra un poliziotto e un dirigente, dalla quale mi pare di capire che non sanno dove mettere i fermati e che è il caso di lasciarne andare qualcuno. A questo punto ha senso il continuare a ripetere “sono minorenne” nella speranza che lo lascino andare e il fatto che smanacci via la telecamera (nel senso che magari se la sta cavando ma se qualcuno lo vede ripreso sono cazzi). Inoltre, sembra ben strano che se davvero era un agente nessuno si sia preoccupato di requisire la telecamera al tizio che riprende.
Quindi, boh, certezze non ne ho (la questura dice ora di averlo identificato), però non mi sento di dire, sulla base di tutte queste cose, che si tratti di un infiltrato. Che poi, che lo sia o meno, credo che cambi poco sul senso della giornata. E trovo un po’ auto-consolatorio continuare a postulare agenti provocatori che mandano a puttane manifestazioni altrimenti pacifiche; prendiamo in considerazione l’idea che le cose siano andate così perché non potevano che andare così e perché una parte del movimento ha deciso che andassero così? Giusto o sbagliato che sia (se ne discute qui)? Che non è che i “cattivi” siano sempre gli altri?

(se dovessi scommettere su qualcuno come infiltrato, punterei sui due che tengono il finanziere con la pistola, per questioni di logica – stare appiccicato a un avversario armato e in stato di shock non so quanto sia una tattica salutare – e perché un fotografo ha scritto nella didascalia della sua foto che si trattava di un commilitone) (anche qui: perché a nessuno è venuto in mente di chiamare gli autori degli scatti della sequenza e chiedere a loro che impressione avevano avuto del tutto, visto che erano lì davanti?)

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Vrbe

Ci sarebbero un sacco di cose di cui parlare. Minorenni, trasmissioni tv, alluvioni. Un sacco di cose.
Però non ce la faccio.
Quindi, per la gioia dei miei venticinque lettori, parlo un po’ di fatti miei.
Nel ponte dei morti (che è un espressione molto epic metal) sono stato a Roma.
Io a Roma ci sono sempre stato per pochissimo, roba di una giornata.
L’ultima volta, per dire, ero andato per motivi di lavoro al museo della Guardia di Finanza, nella sede della Guardia di Finanza. La galleria dei ritratti dei vari comandanti è favolosa: l’ultimo era Speciale e facendo le proporzioni con le dimensioni del cappello deve essere alto più o meno come un MacPro. Poi a un certo punto mi sono trovato a reggere un moschetto del ’15-’18, così.
Comunque. Questa volta ci sono stato per un po’ di più, anche se il giro a “Roma” vera e propria è durato una giornata, da mattina a tardo pomeriggio del sabato; ore in cui però siamo riusciti a condensare non solo i luoghi più importanti (il Colosseo no, ma l’avevo già visto) ma anche tre incontri in tre posti diverse con tre persone diverse. Insomma, un ottimo risultato.
Seguono annotazioni varie.

* Roma credo che sia un sacco di città tutte insieme, una dentro l’altra e una di fianco all’altra. La città del potere, però, tutta concentrata in uno spazio tutto sommato abbastanza ristretto, è un insieme di toponomastici da levare il fiato: Botteghe Oscure (che quando da bambino guardavo i telegiornali era un nome bellissimo e misterioso), via del Corso, Piazza del Gesù (mi immagino i capelli bianchi dei confessori della chiesa di fianco alla sede della DC), palazzo Grazioli, via dell’Umiltà. A giudicare da come vengono inquadrati in tv tutte quelle facciate senza così poi tanto spazio davanti, si direbbe che a Roma si vendano grandangoli come michette calde a mezzogiorno. E poi Montecitorio. Un mio amico che lavora in degli uffici lì vicino mi raccontava come certe mattine sembri di stare in una specie di set televisivo a cielo aperto, con da una parte l’imitatore di Vespa di Striscia la notizia che si mette i nei finti in un angolo, dall’altra i tizi delle Iene che inseguono i parlamentari e, testuali parole, “i giornalisti di Sky che si calano dall’elicottero”. Ah, pare anche che alla Camera sia stato abolito de facto l’obbligo della cravatta, visto che un suo noto frequentatore non la mette mai e non può essere messo alla porta. Comunque, visto che è sabato e che lunedì è pure festa, il circo non è in città.
(che poi, immagino l’avranno detto in milioni, ma passeggiare lì attorno è così piacevole che il compromesso, il mettiamoci d’accordo, il non calpestiamoci i piedi, non facciamoci del male, sembra sorgere spontaneo. Forse dovremmo spostare la capitale in un posto meno piacevole)

* Sul serio: quanta gente lavora esattamente nella ristorazione, a Roma? Immagino che al di fuori del centro la situazione sia diversa, ma credo che dalle 10 di mattina fino al tardo pomeriggio non mi sono mai trovato nel campo visivo meno di due-tre ristoranti per volta. Che poi, chiaro, un sacco sono orribili trappole per turisti (ho visto gente che mangiava felice quelle che non potevano che essere pizze surgelate del supermercato con due fettine di salame buttate sopra), ma restano comunque un altro sacco di sacchi dove vorresti sederti e ordinare più o meno tutto. Il pranzo lo risolviamo vicino a piazza Campo dei fiori, alla Montecarlo, dove veniamo indirizzati da un amico. Siamo in tre, ordiniamo un piatto di cacio e pepe, uno di carbonara e uno di amatriciana. Approfittando della temporanea assenza di L., che è autoctona, il cameriere convince me e S. a prendere anche un paio di bruschette, ‘tanto che aspettamo. Le due bruschette sono spesse come le bistecche di Tex Willer; in teoria sono solo con il pomodoro, ma per buona misura ce le servono su un letto di fagioli. Poi arrivano i primi. Affiderei la descrizione della mia reazione a una foto:

(e non sono in posa, non sapevo di essere ripreso)

* Per la prima volta ho visto dei Caravaggio da vicino, e che Caravaggio: La crocifissione di San Pietro e La conversione di San Paolo. Impressionante il modo in cui le figure sembrano sbucare fuori dall’oscurità e l’uso della luce. È stupido e banale dirlo, ma nessuna riproduzione fotografica può rendere giustizia allo spettacolo magnifico che mettono in scena (anche perché i due quadri sono in una cappella abbastanza stretta e credo che Caravaggio avesse messo in conto il fatto che venissero visti soprattutto di scorcio, quindi visti frontalmente sono un po’ più “piatti”). Comunque, per potere accedere alla cappella, abbiamo dovuto aspettare che finisse la messa. Immagino che si siano diverse cose fastidiose nel fare il prete; dover lavorare mentre hai la chiesa piena di gente che gironzola nelle navate laterali e ti dà delle occhiatacce domandandosi quanto diamine ti ci vuole ancora a finire probabilmente è tra queste.

* Una cosa che mi sono divertito parecchio a fotografare sono le targhe affisse ai muri con le pene per chi lasciava spazzatura in strada.

1746


1753


1764

Da qualche parte deve essercene anche una con scritto “altrimenti poi ci tocca Bertolaso”. Quella del 1753 è incazzatissima e tra l’altro incoraggia la sana pratica della delazione (all’epoca la nota cantilena del “chi fa la spia non è figlio di Maria” doveva essere ancora composta; i poeti vaticani si erano incagliati su “non ha miglio dalla Pia” e non se ne usciva). Al di sotto dell’arco, ovviamente, era pieno di spazzatura. Il lettering, con quelle Q lunghissime, è bellissimo.

* Sembra incredibile, ma i romani parlano esattamente come ti aspetti dai romani. È una cosa sulle prime straniante, perché è vero che i romani non è che vivano rinchiusi all’interno del GRA e non ne hai mai incontrati. Però sentire per strada, sugli autobus, nei locali che effettivamente parlano tutti come senti alla televisione fa un certo effetto. Le due signore perbene sull’autobus che dicono “‘sti zozzoni” quando il bus passa davanti a un cinema porno sono pura commedia all’italiana.

* Posti che non pensavo esistessero: la colonia felina di largo Argentina, che ospita una gran quantità di gatti che si aggirano tra le rovine romane e la stanza dove un’associazione di volontari si prende cura di loro e ospita quelli feriti o con problemi. Superato l’impatto con l’odore appena appena penetrante che avvolge la struttura, è bello vedere questi felini che girano beati a farsi coccolare dalla gente di passaggio, che si addormentano tra le scatole di cibo o che stanno, quelli più piccoli, nelle loro gabbiette in attesa dei futuri padroni. Ho scattato abbastanza foto di felini per riempire l’internet e distruggere qualsiasi barlume di credibilità mi sia rimasta, quindi mi limiterò a questa enigmatica immagine (che non contiene gatti):

Il che mi dà un bonus di un gatto, che mi giocherò con questo gattone rosso:

Se non è Romeo lui, non so chi lo sia

* Poteva forse mancare la visita in piazza san Pietro? Certo che no. Quel giorno a Roma c’era un qualche raduno dell’Azione Cattolica, quindi la città era niente niente piena di ragazzetti. C’era un gruppo che aveva un cappellino che spiegava che erano le “Teste matte di Gesù”. Il che comunque vuol dire piazza san Pietro piena di sedie, di gente, di casino, anche nel tardo pomeriggio. C’è un gruppo di ragazzi veneti, sulla ventina. Uno a uno certo punto fa “Dovremmo andare a vedere il balcone dove si affacciava Lui”. “È quello” risponde l’amico indicando la finestra dell’Angelus. “No, non ho detto lui. Ho detto Lui, con la maiuscola” (dai, cheppalle, sei veneto e fascista. Un impeto di originalità no?). Comunque ho fotografato le prove di un orribile complotto che minaccia tutti noi:

SCIE CHIMICHE SUL VATICANO

* E a proposito di basiliche, San Giovanni in Laterano. Al di là della chiesa, che è gigantesca e leva il fiato, mi ha colpito la piazza. Che è, come dire? Piccolina. E anche mettendo insieme le vie limitrofe, mi viene ancora più da ridere a pensare alle cifre fornite dagli organizzatori di manifestazioni che si sono tenute lì, come i concertoni del Primo Maggio (prendendo le misure da Google Earth, nel 2009 avevo calcolato una densità a metro quadro da nana bianca – un’altra volta avevo fatto i conti precisi con il Circo Massimo) o il Family Day. Curiosamente, non ho visto tracce di tutti quei gruppi che riemergono solo in occasione del primo maggio e che pensavo trascorressero il resto dell’anno a bivaccare nella piazza. Però forse possono usare i sotterranei della basilica per ripararsi dagli sguardi indiscreti e provare gli incredibili duetti per cui è famoso il concertone.
Salutiamo con una cartolina:

(* Il giorno dopo siamo stati anche a Orvieto, le cui stradine e i cui panorami mi sarei certamente goduto di più se nel tardo pomeriggio della domenica non avessi iniziato ad avere tossemaldigolamalditesta tutti insieme. Però ero ancora abbastanza lucido quando ho visitato il Duomo con i meravigliosi affreschi di Signorelli. Ovviamente, era pieno di gente che faceva foto con il flash, in barba a divieti che non sono messi lì così tanto per, ma perché la luce dei flash danneggia le pitture. Il tutto sotto gli occhi dei custodi che, per usare un francesismo, se ne battevano il cazzo.)

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