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Mille strappi di morbidezza

resizer

Scusate la faccia

I fatti sono noti: il giorno dell’ennesima visita a Bologna di Matteo Salvini (che potrebbe anche starsene a casa sua invece che venire a rompere il cazzo qui) alcuni militanti di Hobo, un collettivo universitario “antagonista” entrano nella Feltrinelli di piazza Ravegnana – quella sotto le due torri, la Feltrinelli per eccellenza – strappano le pagine di alcune copie del libro scritto dal segretario della Lega (appena pubblicato) e diffondo il filmato, ironicamente accompagnato dalle note della sigla di Daltanius.
La cosa su cui ci sarebbe più da discutere, secondo me, è se l’uso della canzone sia ironico o no: Extraterreste via da questa terra mia viene, per così dire “messo in bocca” a Salvini, in absentia, o è rivolto a Salvini?
Invece, in un Paese che giornalmente condanna alla distruzione migliaia di copie di libri perché non li compra nessuno e quindi prima o poi vanno al macero, è partito il Grande Coro di Vibrante Sdegno, con grande gioia di quelli che si sentono molto provocatorii ad accomunare fascismo e antifascismo. Perché, insomma, i libri non si toccano. Subito seguiti dai voltairiani d’accatto che hanno annunciato che avrebbero comprato il libro per protesta, solidarietà, vanità o chissà perché.
Poi è arrivato Saviano e ha scritto delle robe su Gian Giacomo Feltrinelli. Non propriamente centrate.

Ma andiamo con ordine.
È stato un atto violento? Sì. È stata fatta della violenza contro delle cose.
Ma, cosa vuol dire, nel 2016, distruggere delle copie di un libro con i pensieri di Matteo Salvini?
Se la vostra risposta contiene “roghi, nazisti, fascisti!1!” mi sa che possiamo anche salutarci qui. Pensare che la libertà di espressione di Matteo Salvini, che vive in televisione 24/7, sia minacciata da alcune copie di un pamphlet danneggiate da un gruppo di universitari, se vi calmate un attimo, vi renderete conto anche voi che suona un po’ ridicolo (non fosse altro perché il gesto ha avuto l’ovvia conseguenza di permettere a Salvini di fare parlare ancora di sé e del suo libro).
So che piace molto citare a sproposito una cosa che Voltaire non solo non ha mai detto ma probabilmente non ha mai neanche pensato, ma anche qui sarebbe il caso di darsi una regolata. Le opinioni non sono cose che esistono nell’iperuranio: se sei il segretario di un partito nazionale, che governa comuni, province e regioni, ha avuto ministeri e ha ispirato leggi (Bossi-Fini, anyone?) le tue opinioni non solo solo opinioni. Sono azioni. Azioni che influenzano la vita delle persone o che vorrebbero farlo. E molti di noi magari sono disposti ad accettare che qualcuno, sbagliando, pensi che Pete Best suonasse meglio di Ringo Starr o che Sgt. Pepper è meglio di Revolver. Invece, non è che se uno ha intenzione di rendere più complicata la vita a degli altri esseri umani dobbiamo dire “oh, pofferbacco, non sono d’accordo ma prego, lo dica pure”. No. La verità è che ci sono idee che non dovremmo accettare e contro le quali è giusto lottare. Io non darei la vita per permettere a Salvini di esprimersi: io vorrei che Salvini avesse quelle idee di merda e vorrei che non avesse a disposizione tutti i megafoni del mondo per diffonderle.
E non è che se quelle idee sono pubblicate tra due dorsi di cartonicino, con un codice ISBN diventano intoccabili.
I ragazzi di Hobo hanno danneggiato delle proprietà della Feltrinelli (che ha le spalle larghe abbastanza da sopportare quella perdita inventariale); persino per la legge non dovrebbero rispondere di altro che di questo.
Vedo un’obiezione in fondo alla sala: “EH, MA ALLORA QUELLO DI CASA POUND CHE HA DANNEGGIATO I FUMETTI SATIRICI SU MUSSOLINI A ROMICS HA FATTO BENE?”
Grazie per la domanda.
Intanto, è di Casa PWND, quindi già parte svantaggiato. Ma quello che è successo a Roma è molto più vicino all’intimidazione di quello che è successo a Bologna. Le vittime della patetica (nella forma) spedizionaccia del Di Stefano jr. erano nelle intenzioni gli stessi autori del fumetto. E i danni, grandi o piccoli che siano stati, li ha subiti un piccolo editore. Tra l’altro, prendersela con le barzellette perché non si è capita una battuta mi sembra un livello davvero bassissimo. Per questo è giusto percularli, perché manco sono riusciti a fare quello che volevano.
Poi, oh, neanche l’azione di Hobo mi sembra una gran alzata di ingegno, ma trovo assurdo ed esagerato il modo in cui si è reagito.

Ma torniamo, per chiudere, a Saviano.
Che scrive:

Per prima cosa alla libreria, quella stessa Feltrinelli di piazza Ravegnana famosa perché lì Gian Giacomo Feltrinelli istruiva i librai affinché lasciassero i lettori liberi di leggere i libri per intero – andando ogni giorno a leggerne un pezzetto, come fosse il salotto di casa propria – senza comprarli. Quella stessa dove persino qualche furto era tollerato. E tollerare il furto di un libro significa capire che la cultura è nutrimento.

Ora. A parte che la Feltrinelli di piazza Ravegnana era il regno di Romano Montroni, più che di Feltrinelli,
Feltrinelli era un uomo d’affari e di cultura, ma probabilmente, da comunista terzomondista, avrebbe cercato di non farcelo nemmeno entrare, nelle sue librerie, il pamphlet politico di uno xenofobo che va a braccetto con i fascisti.
Perché bisogna prendere un uomo come Gian Giacomo Feltrinelli, che è stato complesso, sanguigno, radicale, e farne un’altra figurina nella Grande Raccolta per la Gioventù Panini dei Buoni-a-tutto-tondo?
Come se tutto fosse uno speciale di Fazio, un editoriale di Gramellini?
Il conflitto esiste, le ideologie esistono e le persone con cui possiamo essere in linea di massimo d’accordo possono fare delle cose che non condividiamo o che non comprendiamo.
Non è necessario cercare di ricondurre tutto a un’unità, verso il basso.

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Fuori dal mondo

Quando a novembre del 2006 Roberto Saviano venne messo sotto scorta, ricordo di avere pensato “poveraccio, e adesso come fa a scrivere?”.
L’ho pensato perché mi ero accorto di Gomorra da un articolo su, mi pare, XL in cui si parlava di questo giovane scrittore che stava per pubblicare un libro sulla camorra basato anche su una certa di dose di osservazione sul campo. Mi pare che si accennasse anche al fatto che in un paio di occasioni si fosse fatto assumere da un catering per fare il cameriere a matrimoni di gente di camorra e osservare da vicino quel mondo. E leggendo Gomorra si sente che, anche se è ovvio che Saviano non sia stato testimone oculare di tutto quello che racconta, il fatto di vivere in terra di camorra, di respirare la stessa aria dei camorristi, camminare per le stesse strade, conoscere le stesse persone, fare parte di un mondo che è per forza di cose “contaminato” dalla criminalità, dai suoi modelli, dalla sua forza economica, dai suoi miti e dalle sue azione, dà un qualcosa in più al libro. Contribuisce alla potenza che il libro ha nel raccontare quel mondo.

La lettera agli studenti pubblicata oggi da Repubblica è del tutto frutto della segregazione di Roberto Saviano dal mondo di qui e adesso. Ed è una cazzata. Una lunga predica (e il tono è la cosa peggiore di tutte) che traccia una distinzione tra buoni e cattivi, che poteva funzionare forse riferita alla situazione di Genova 2001 ma che con quello successo a Roma martedì ha poco a che fare. Perché questa volta nessuno di chi era là mi pare stia prendendo distanze nette dagli atti di violenza. Che sembrano essere stati accettati come un’evoluzione inevitabile o qualcosa del genere.
Lo ha scritto bene Sandrone Dazieri, rispondendo implicitamente a Saviano:

E vorrei dire a tutti quelli che in questi giorni stanno commentando e fornendo saggi consigli agli studenti (non fate così, non fate cosà, avreste dovuto fare così, nel futuro fate cosà) che non spetta  a noi giudicare quanto è accaduto. Non sta a noi distinguere tra buoni e cattivi, stupidi e intelligenti. Spetta a loro, a chi c’era, agli studenti, a chi ha organizzato il corteo, a chi sta lottando da settimane al freddo, sui tetti e nelle strade  decidere se la violenza che c’è stata (due pietre, parliamoci chiaro, gli scontri tra ultras fanno molti più danni) sia stata giusta o sbagliata, necessaria o inutile, bella o brutta. Sta a loro chiarirsi, discutere, prendersene le responsabilità politiche e umane.  Separare i percorsi, se lo ritengono opportuno, o trovare una mediazione. Spetta a loro scegliere gli strumenti della loro lotta, perché è la loro lotta. Spero, certo, che non ripetano gli errori della mia generazione e di chi ci ha proceduto, ma non saremo noi a poterlo impedire se dovesse accadere. A noi spetta solo scegliere da che parte stare, se con loro o contro di loro, e risparmiare il fiato: non saranno mai come noi vorremmo che fossero, così come noi non siamo stati quelli che saremmo dovuto essere.

Se sei fuori, quale che sia il motivo, da quello che succede, devi fare molta attenzione a come ne parli. Soprattutto non puoi farlo con una predica fatta di parole buone un po’ per tutte le occasioni. Perché fai la figura del trombone che non sa neanche bene di che cosa stia parlando.

In compenso, la lettera di Saviano sta suscitando tutta una serie di risposte, tra cui ce ne sono alcune che mi pare dimostrino che il movimento (o sue parti) è tutt’altro che inconsapevole delle sue scelte. Una è quella di Bartleby, che si conclude così:

Per il resto la vita è molto più complicata del rapporto bene o male. E molto più variegata. Pensaci un attimo, sono due mesi che la gente scende in piazza e questo movimento non ha ancora un nome, come nei romanzi di Saramago. Siamo sempre “quelli che hanno fatto questo” oppure ci dicono che siamo di un luogo “quelli dell’Aquila, di Terzigno”. E’ una forza, non credi? Vuol dire che siamo indefinibili: siamo quello che facciamo.

L’altro giorno avevamo i caschi. Domani magari porteremo delle girandole in questura, l’indomani Book Block, il giorno dopo ruberemo in libreria i volumi che ci piacciono e che costano diciotto euro e che non possiamo permetterci (ci difenderai?), parleremo con gente di altre generazioni, staremo con loro, cammineremo. Ci difenderai o ci attaccherai? In ogni caso sappi che saremo sempre le stesse persone.

Altri nemici non ne voglio, caro Roberto, ti ho scritto quello che pensavo, ti ho descritto la situazione reale che c’è stata in Piazza del Popolo, ti ho descritto la situazione quotidiana. Sta a te decidere cosa vuoi leggere nelle proteste. Vuoi leggere un rigurgito del ’77? Va bene. Ti diremo che siamo più vicini alle proteste di Londra e Parigi. Vuoi leggere una violenza di gruppi sparuti? Ti diremo che Piazza del Popolo non la riempiono cento persone. Vuoi leggere la violenza solo come un voto in più a Berlusconi? Va bene, leggeremo nelle tue una semplicità di analisi disarmante che si basa su un sistema binario, Zero Uno, Zero Uno. C’è un’infinità di numeri tra cui scegliere e te ne dico un altro: Centomila, sono le persone che l’altro giorno stavano in piazza insieme, al di là di ogni rappresentanza.

L’altra è del collettivo Senza Tregua:

Non esistono studenti buoni e studenti cattivi. Esiste un movimento unito e compatto, che non si fermerà fino a quando questa riforma non sarà bloccata, questo governo non sarà caduto e continuerà a lottare contro un sistema che è fatto solo di precarietà e insicurezza, fino a quando non avrà riconquistato il diritto al nostro futuro, che qualcuno in questi anni ci ha strappato.
Questo non va giù a molti. Non piace a quanti credevano in un movimento a tempo e a comando la cui unica funzione doveva essere quella di spalleggiare la campagna elettorale di questo o quell’’altro partito di opposizione. Non funziona così.
Il grado di maturazione e consapevolezza a cui questo movimento è arrivato è che non ci sono soluzioni immediate. Quella mattina tutti volevamo la sfiducia di Berlusconi, ma eravamo anche consapevoli che la vera alternativa oggi non passa per quell’’aula parlamentare, dove a vari livelli, sono tutti corresponsabili delle politiche portate avanti in
questi anni sia dal centro destra che dal centro sinistra.

A me sembra che la situazione sia un tantino più complicata di “studenti pacifici in balia di derive violente da cui non sanno come difendersi”.
Cito dalla durissima replica di Valerio Evangelisti:

La reazione è stata di rabbia. Come poteva non esserlo? Solo chi vive fuori dal mondo potrebbe attribuirla all’azione di “cinquanta o cento” imbecilli innamorati della violenza.

Fuori dal mondo.
Io sono convinto che se l’autore di Gomorra fosse libero di girare per strada, ci avrebbe saputo raccontare questo movimento con gli strumenti del bravo narratore che è. E magari, chi lo sa, sarebbe giunto lo stesso alle stesse conclusioni. Però ci sarebbe arrivato stando lì in mezzo, vedendo, parlando, confrontandosi, capendo.
Ma ovviamente questo non è possibile. E ci tocca subire la sofferenza di vedere un bravo autore di reportage  (di cui avremmo bisogno) indossare i panni dell’ennesimo opinionista da scrivania di cui non si sente la mancanza.

 

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Pagina 533 la trionferà

Cose per cui amo internet: ieri sera dopo neanche mezz’ora che Guzzanti aveva finito il suo intervento a Vieni via con me, il suo pezzo era già su youtube.

Com’è?
Eh.
Guzzanti è il più grande comico italiano vivente, con buona pace di tutti gli altri. Non staremo qui a tessere il suo elogio e a lodare la sua capacità di ri-creare i personaggi e farli debordari nell’assurdo. Sono cose che sono sotto gli occhi di tutti.
Nel formato della battuta lapidaria alla Luttazzi (Tabloid-era) / Spinoza.it, invece, non mi è sembrato completamente a suo agio. Non che il materiale non fosse buono, ma in generale lui ha un altro passo, uno sviluppo più lento della battuta finale (si veda il Libro de Kipli) e per le battute brevi usa più uno stile aforistico; e il fatto che il pubblico applaudisse alla fine di ogni battuta rendeva impossibile la creazione di un qualsiasi ritmo. Però, insomma, avercene.
Ieri sera, a caldo, Paolo (quello che è andato in Inghilterra a piedi) faceva notare su FriendFeed che non molto tempo fa Guzzanti queste cose le faceva in prima serata ogni settimana, su Rai Due.
Ed è verissimo, è incredibile, se ci si pensa, alla bonifica che è stata fatta di un certo tipo di trasmissione che i suoi bei punti di Auditel se li portava a casa. Ma dopo l’Ottavo Nano (2001; lo ricordiamo per Vulvia, il Venditti di Grande Raccordo Anulare, Gabriele La Porta, l’Alberto Angela e il Gasparri di Marcorè, tra gli altri, roba che dopo 9 anni siamo ancora qui ad andare a riguardare su youtube) il nulla. Ok, il Caso Scafroglia, ma in seconda serata. E l’unica, turbolenta, puntata di Raiot. La Dandini fa una cosa, a volte anche pregevole, con Parla con me, ma è comunque una roba molto più per conversi rispetto a successi popolari come Tunnel, Avanzi, il Pippo Chennedy Show, la Posta del Cuore, L’Ottavo Nano.
E oggi, Vieni via con me viene visto come l’avanguardia della riscossa, i primi bagliori del fuoco di sbarramento che ricaccerà Berlusconi nell’inferno da cui è provenuto.
I beg to differ, direbbero gli anglosassoni.
Nel senso che: una trasmissione che in prima serata parla di attualità senza filtri, in cui c’è un tizio che sta davanti alla telecamera e può parlare di ambiente, rifiuti, criminalità e politica oggi e fa degli ascolti mostruosi (ricordiamoci che l’Auditel è un’astrazione statistica, però) è sicuramente una specie di alieno, dopo nove anni di progressiva, ma non totale, scomparsa dai palinsesti di certi temi. Ed è probabilmente segno che qualcosina in Rai sta cambiando, che qualcuno avverte che la situazione è fluida e prova a scommettere su altri cavalli (o che qualcuno non ha più così potere per bloccare del tutto certe cose).
Però, le elezioni non si vincono alla pagina 533 del Televideo.
L’idea che Berlusconi sia finito, stremato, morente, pronto a mollare la spugna, pronto a essere abbattuto e che la grande rivolta della Gente Perbene lo stroncherà mi sembra quantomeno ottimistica. Il consenso di Berlusconi presso la classe politica è in calo, vero. Ma l’errore che si fa con lui è quello di interpretarlo secondo i criteri della politica tradizionale. Fosse un Prodi qualunque, coinvolto in scandali e scandaletti personali, mollato dall’alleato, sarebbe carne per le urne. Fosse un Prodi qualunque.
Essendo invece quello che è, che sia finito è tutto da dimostrare. E, anzi, il fatto che rischi di andare a casa per le mosse del suo ex-alleato e dei suoi amichetti politici di professione potrebbe essere un’arma in più per la riscossa.
Vieni via con me, questa grande messa* che chiama a raccolta i fedeli (e probabilmente anche un sacco di gente che sta lì a pensare “vediamo che fanno ‘sti stronzi, adesso”) ha sicuramente un forte valore simbolico, basta pensare a quanto casino ha fatto Maroni per potere andare proprio lì a replicare a Saviano, dopo averlo fatto per una settimana da ogni dove (giovedì ho aperto il frigo e la mozzarella mi ha ricordato i boss arrestati). Però pensarlo come la stella cometa che ci annuncia l’arrivo del Redentore è fuorviante.
Nel 2001 avevamo una televisione diversa e più varia, ne venivamo da cinque anni di centro-sinistra (non propriamente eccellenti come biglietto da visita, ok) e Berlusconi vinse le elezioni. Perché dall’altra parte gli avevano messo contro Rutelli. Rutelli.
Non è il caso di vendere la pelle dell’orso quando non hai nemmeno imparato ancora a sparare.

(prevedo già l’obiezione: “Ma oggi abbiamo Internet, i blog, la democrazia dal basso, possiamo diffondere cultura di opposizione senza passare dai canali controllati dallo Psiconano” Beh, come dire? Been there, done that)

* Ed è più noioso della messa. A meno che il vostro parroco non legga gli elenchi delle genealogie bibliche.

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23 novembre 2010 · 2:05 PM

Almeno farseli raccontare, dai.

Io mi sarei anche un po’ stufato, di dover ogni volta entrare nel merito di ogni idiozia.
Se uno dice che Gomorra dà un’immagine negativa dell’Italia perché mette in piazza il marcio, io credo che non si debba sprecare tempo a rispondergli nel merito.
Perché dei libri si dovrebbe parlare solo se o li hai letti o quantomeno te li hanno raccontati per bene.
E sarebbe un mondo bellissimo se la figlia di costui, curiosamente presidente del gruppo editoriale che pubblica Gomorra, avesse risposto “notoriamente mio padre non legge libri, che cosa volete che ne sappia”, invece di lanciarsi in una tirata a base di “mio padre” ogni due paragrafi, come una Stefania Craxi qualunque.
Chi ha letto il libro sa di cosa parla e come ne parla.
Ma anche chi non l’ha letto può facilmente vedere come sono stati contenti i camorristi della buona luce che Saviano ha gettato su di loro (ah no, la scorta è tutta roba dell’ufficio marketing Mondadori, dimenticavo). Basta avere un minimo di cervello.

Paradossalmente, la cosa che mi ha convinto meno è stata una parte della risposta di Saviano, quella in cui ha tirato direttamente in ballo la Mondadori in quanto proprietà della famiglia Berlusconi. Non so se sia stato una sorta di attacco preventivo prima che i soliti saltassero su a dire (di nuovo) “ecco un altro che fa il figo e intanto prende i soldi dal Berlusca” (a parte che Mondadori i soldi li fa vendendo quello che producono i suoi autori, quindi al massimo è Berlusconi che fa soldi su quelli che parlano male di lui) (genio). Però a quel punto dell’argomentazione, il riferimento a Mondadori appare vagamente posticcio e fuori luogo.
A me non sembra tanto gigantesco che un editore (che poi la famiglia Berlusconi in Mondadori fa quasi per niente l’editore; editore di Mondadori negli ultimi anni è stato Gian Arturo Ferrari. Che poi ogni tanto arrivi la telefonata e tocchi mettere insieme mostruosità come questa purtroppo ci sta. Ma sapeste in quante case editrici si pubblicano cose per motivi tutt’altro che culturali o economici; chiaro che in questo caso, essendo il proprietario un uomo di potere politico le cose assumono proporzioni allucinanti. Ma la logica di fondo non è assolutamente anomala), un editore dicevo, critichi delle cose che pubblica.
Mi sembra enorme, gigantesco, inaudito, che un presidente del consiglio attacchi una persona che vive sotto scorta per quello che ha scritto perché con il suo lavoro avrebbe danneggiato l’immagine del Paese. E secondo me avere insistito solo su questo, lasciando da parte la questione Mondadori, avrebbe dato molta più forza alla risposta di Saviano e avrebbe mantenuto l’attenzione sulla cosa davvero importante e non su quello che, ora come ora, è un corollario (il tutto ovviamente è complicato dall’anomalia dell’avere come capo del governo uno che ha anche mezzi di comunicazione di massa suoi, ma sono 16 anni che ne parliamo e credo di non avere una sola sillaba da aggiungere a quanto già detto da allora)

Sull’argomento pure Wu Ming e Leonardo (che scende nel merito da par suo).

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“Praticamente una rockstar”

What is there left for me to do in this life?
Did I achieve what I had set in my sights?
Am I a happy man or is this sinkin’ sand?
Was it all worth it?

Due premesse:
1. Mi scuso con i lettori (ma soprattutto con le lettrici), ma si finisce sempre a parlare di lui;
2. il post che state per leggere parla della copertina del numero di dicembre di Rolling Stone Italia. Solo ed esclusivamente della copertina. Non so come siano gli articoli all’interno, ma per il discorso che voglio fare è irrilevante. Il post parlerà della copertina e della copertina soltanto, del modo in cui può essere fruita come testo autonomo e la lettura che ne consegue.

Ok. Un saluto ai tre lettori rimasti, venite pure qui davanti che c’è posto.

Non ricordo di preciso da quando Rolling Stone Italia si sia messa a distribuire il titolo di “rockstar dell’anno”. L’anno scorso era toccato a Roberto Saviano. Ho ancora il numero nello scaffale dietro di me in ufficio. Non perché ci tenga particolarmente, solo che non mi ricordo mai di buttarlo. Comunque, allora quella scelta mi era sembrata stridente. E continua a sembrarmi stridente oggi, solo che ora so anche spiegarmi le ragioni.
Nel mezzo, c’è stata la lettura del saggio di David Foster Wallace E unibus pluram (EUP). Contenuto in “Tennis, Tv, Trigonometria, Tornado”, EUP è un saggio che parla del rapporto tra la televisione e gli scrittori americani contemporanei, nel quale Wallace sostiene che il post-modernismo, con il suo ricorso all’ironia disincantata nel descrivere il mondo, abbia dato vita a una generazione di autori che non dicono più nulla “sul serio”. L’argomento è ripreso da Wu Ming 1 nel memorandum sul New Italian Epic, nel quale non a caso si cita più volte Saviano. Il perché spero sia chiaro a chiunque abbia un minimo di familiarità con la sua attività di scrittore (ma anche con i suoi due spettacoli televisivi con Fabio Fazio): Saviano è quanto di più lontana da una sensibilità post-moderna e disincantata ci possa essere. Tanto che a volte anche io trovo quasi straniante questo mio coetaneo che nemmeno per un secondo sembra mai cedere alla tentazione di fare la battuta, minimizzare, accennare un commento cinico.
Al contrario, Rolling Stone Italia è un tempio dell’approccio cazzarone. Nello stesso numero, per dire, si annuncia “l’incredibile faccia a faccia fra Elvis Costello + Nick Jonas (sì proprio lui, quello dei tre fratellini verginelli!)”.
Insomma, una copertina con la faccia di Saviano e sotto la scritta “rockstar” stride come unghie sulla lavagna, perché preleva di peso una persona da dove si trova e la cala più o meno nel contesto in cui amano collocarlo i suoi detrattori: “uno che fa spettacolo”.
Magari le intenzioni erano buone, ma il risultato mi lascia, ancora oggi, perplesso.

E oggi tocca a Silvio Berlusconi.
Metto la foto qui sotto per comodità.

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Ecco. L’immagine è opera di Shepard Farey, quello del poster “Change” per Obama.
Berlusconi è raffigurato con una specie di ghigno sul volto mentre strappa in due una bandiera italiana sulla quale è scritto il suo nome, sullo sfondo di un’altra bandiera italiana.
Non solo quale fosse di preciso l’intento dell’artista, né quale sia stata la richiesta di Rolling Stone Italia, ma trovo che l’effetto finale dell’immagine sia quello che si legge in questo articolo del Giornale:

Il rock è provocazione. Non guarda in faccia a nessuno. Entra nei sancta sanctorum e puzza di blasfemo. Non rispetta la nobiltà, la storia, le tradizione. È un talento barbaro, che i custodi del passato faticano a riconoscere. Ribalta i canoni. Il rock è costretto a mostrarsi giovane anche a 70 anni. Quando il Cav entra nel club esclusivo della politica estera lascia fuori i cappelli a cilindro della vecchia diplomazia. È il cucù, le corna (rock, molto hard rock), i kapò, voce alta, scacco alla regina e tutta la geopolitica della pacca sulle spalle. Il rock avvicina, cancella le distanze, alto e basso non si distinguono più. Il motto è: «Hi fratello».

“Distruggere” è un gesto che associamo alla cultura rock. E ha un valore positivo perché, in quella moderna epopea che è “la storia del rock” intesa come fenomeno socioculturale, il rock svolge un ruolo positivo, di rottura di consuetudini e di liberazione. “Elvis ha liberato i nostri corpi e Dylan le nostre menti” diceva John Lennon. Al rock associamo blue jeans, liberazione sessuale, assenza di formalismi, istintività. In parte per innegabili motivi storici, in parte perché sono collegamenti che ci siamo abituati a fare negli anni.
Ha gioco facile la stampa di Berlusconi a usare questa copertina per glorificare quegli aspetti della figura pubblica del PresDelCons che a me fanno rimpiangere il pentapartito e Tribuna Politica. Ha gioco facile perché quella copertina (che sopravviverà molto più a lungo di qualsiasi articolo la commenti all’interno del giornale) sembra proprio, per il contesto, per quello che c’è scritto, perché nasce già per essere un’icona pop (suppongo che a breve avere una propria foto manipolata da Farey diventerà come farsi ritrarre da Raffaello) e per essere letta all’interno del sistema di valori del “pop” e del post-moderno.
Ora, non credo spetti a Rolling Stone Italia fare da baluardo contro Berlusconi. Rolling Stone Italia è una rivista che opera in un regime di mercato ed è liberissima di fare le copertine che ritiene porteranno più lettori la cui attenzione vendere ai propri inserzionisti. E le polemiche, si sa, fanno vendere.
Però, ecco, secondo me questa copertina è così goffa nell’essere un omaggio all’immagine pubblica che il PresDelCons vuol dare di sé che a me sembra più un omaggio spudorato. Esattamente il tipo di ossequio verso un potente e verso il suo culto della personalità che vorrei non vedere mai mai mai.

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Il Professionista

Gaetano Pecorella, già di Potere Operaio, poi avvocato di Berlusconi, poi parlamentare (dice di sé: “È vero, sono state fatte leggi funzionali a determinati processi. Abbiamo fatto il lodo Schifani, poi dichiarato incostituzionale e che in effetti in qualche parte lo era, per consentire a Berlusconi di governare”), è presidente della commissione d’inchiesta sui rifiuti. Se avete letto Gomorra (e se non l’avete letto, per favore fatelo) saprete che una delle principali fonte di reddito e potere dei clan camorristici sono proprio i traffici illeciti di rifiuti.
Di conseguenza, sapere che Pecorella sembra essersi impegnato con tutte le sue forze a dare addosso a chi gli chiede del clan dei casalesi mette addosso una tristezza e una rabbia infinite.
Cito dall’articolo di Saviano su Repubblica:

Ho letto in questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi condannato come mandante dell’omicidio di Don Peppe Diana. Mi ha colpito e ferito sentire alcune dichiarazioni dell’Onorevole Pecorella in merito all’assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella dichiara: “Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso perché si volevano deviare le indagini che erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio, visto che non c’erano precedenti per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate da diverse fonti, diversi moventi”.

La difesa di Pecorella è qui.
La cosa da tenere a mente è che a fare i professionisti dell’antimafia si finisce sottoscorta, o sparati, o saltati in aria, di solito.
A fare i professionisti dell’anti-antimafia si può ottenere, evidentemente, qualcosa di meglio.

(ps: banca Rasini)

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