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Autodifesa – maggio 2011

Interrompiamo la sequenza di post su New York per la tradizionale rubrica dei libri del mese.
More about The Island at the Center of the WorldLa interrompiamo ma in realtà, zac!, iniziamo subito con un libro su New York, o meglio su Neuwe Amsterdam. The Island at the Center of the World di Russell Shorto (Vintage) è infatti, come da sottotitolo, l’epica storia della Manhattan olandese e della colonia dimenticata che ha modellato i futuri Stati Uniti d’America. Gli studi sulla colonizzazione olandese dell’isola di Manhattan sono una relativa novità nella storiografia statunitense e si basano in larghissima parte sul lavoro che sta vendendo fatto attorno ai documenti superstiti conservati a New York. Un lavoro complicato dal fatto che la lingua olandese  e la calligrafia del XVII secolo sono particolarmente difficili da decifrare, che sta venendo portato avanti da un ristrettissimo pugno di studiosi. Shorto, giornalista del New York Times, ha avuto il merito di presentare i risultati di questo lavoro di ricerca in una forma piacevolmente divulgativa, una narrazione storiografica che si legge più che “come un romanzo” come un reportage dalle strade della Lower Manhattan del primo Seicento. La tesi sostenuta dal libro è interessante perché colloca l’inizio della storia degli Stati Uniti nel panorama della storia europea coeva, facendo per certi versi saltare l’europeocentrica concezione degli USA come “paese senza storia”. Per Shorto, infatti, lo spirito che animava la colonia, un porto strategico nella rotta tra Sud America, Nord America ed Europa, era lo stesso della madrepatria, improntato a un clima di tolleranza che favoriva l’insediamento di persone dalle provenienze più disparate. La New York di oggi, multietnica, in cui magari il mercoledì delle ceneri ti arriva in ufficio il collega con la croce in fronte o (come ho visto) a una certa il tizio degli hot dog si inginocchia verso La Mecca e si mette a pregare, dove a Brooklyn sbagli strada e ti trovi in un ghetto ebraico di fine Ottocento, sarebbe così la diretta discendente dello spirito della tolleranza dell’Olanda seicentesca; e sarebbe proprio da New York (che nel 1664 cade nelle mani degli inglesi che la ribattezzano così) che questo spirito di fusione e mescolanza si è propagato nella futura Unione.
Ovviamente non è che fosse tutto rose e fiori e che c’erano gli olandesi buoni e gli inglesi puritani malvagi pronti a sterminare gli indiani: Shorto racconta anche di attacchi condotti nei confronti degli indiani, oltre che della famigerata trattativa per l’acquisto dell’isola di Manhattan (uno scatolone pieno di cianfrusaglie del valore di 24 dollari circa; ovviamente, gli indiani che non avevano il concetto del possesso della terra pensavano che si trattasse di una sorta di usufrutto temporaneo). Senza contare il fatto che la colonia era un caposaldo del mercato degli schiavi (per quanto accogliesse anche schiavi liberati). I protagonisti degli eventi storici escono da un certo macchiettismo in cui erano stati rilegati dalla vulgata popolare, in particolare Peter Stuyvesant, ultimo governatore della colonia, il cui nome ricorre ancora oggi nella toponomastica della città.
È un libro scorrevole ma documentatissimo, che propone una visione nuova (almeno per un pubblico non specializzato) delle origini degli USA, meno centrata sull’apporto anglosassone e più incentrata sul multiculturalismo. Letto prima di una visita a New York, poi, permette di orientarsi un pochino sulla storia più antica della città, dà conto dell’origine di alcuni toponimi (Broadway ricalca in parte il tracciato del più antico sentiero indiano che attraversava l’isola, il muro di Wall Strett era quello della palizzata eretta a difesa della colonia, che occupava la punta sud di Manhattan, e via discorrendo) e ti permette di scocciare chi viaggia con te con discorsi che iniziano con “perché, devi sapere che gli olandesi…”
(non mi risulta una traduzione italiana, sorry)

Un’altra mia fissa nel campo “l’America che non ti aspetti” è Michael Muhammad Knight, l’autore di The Taqwacores, il romanzo che ha dato davvero il via alla nascita di una scena punk musulmana in America, da cui è venuto fuori un gruppo parecchio interessante, i Kominas.

More about Il diavolo dagli occhi bluKnight è un bianco (di origini irlandesi da parte di madre) convertitosi all’Islam dopo aver letto l’autobiografia di Malcolm X e, in quanto tale, è una specie di rarità nel panorama degli islamici americani, che tolti quelli originari di paesi musulmani sono per lo più neri. Da questo viene il titolo del libro “Il diavolo dagli occhi blu” (Newton Compton), che racconta due mesi trascorsi on the road per gli Stati Uniti dall’autore per incontrare personaggi di spicco dell’Islam americano. La parte più allucinante e interessante è quella dedicata a Wallace Fard Muhammad e alla Nation of Islam, il movimento da lui fondato che sostiene che la razza nera è l’unica creata da Allah e che i bianchi sono frutto dell’esperimento del malvagio Jacub (se ne parla anche in New Thing di Wu Ming 1). Il tutto condito da un bel po’ di ufologia e dalla convinzione da parte di Fard di essere l’incarnazione terrena di Allah. Per inciso, Fard non si sa che fine abbia fatto; la versione della NOI è che abbia fatto ritorno all’Astronave Madre e il viaggio di Knight si svolge proprio sulle sue tracce. Tra l’altro, anche Malcolm X è stato per diverso tempo membro del movimento, prima di diventare sunnita.
Durante tutto il percorso, però, Knight porta alla luce realtà interessanti, tra donne che conducono la preghiera e associazioni di musulmani filo-bushiani. L’ultimo capitolo è dedicato all’incontro in carcere con il nipote di Malcolm X, rinchiuso per furto. Instabile mentalmente, a 12 anno il ragazzo aveva dato fuoco alla casa dove viveva con la nonna, Betty Shabazz, uccidendola.
A me Knight piace molto, per come scrive, per quello che racconta e per la visione della sua religione che propone. È un personaggio da tenere d’occhio, una voce a cui prestare attenzione (e su ibs te lo regalano, in pratica, questo libro).

More about PostmortemSe c’è una cosa che mi ha colpito molto in “Postmortem“, il primo libro di Patricia Cornwell (Mondadori) è quando la protagonista Kay Scarpetta, italoamericana, si mette a cucinare delle cose più o meno alla portata di un qualunque italiano medio e l’autrice riesce a presentarti le sue azioni come se stesse preparando un pranzo di diciotto ricercatissime portate. Letto oggi, questo romanzo è semplicemente un solido prodotto di intrattenimento che rispetta con grande attenzione tutte le norme da scuola di scrittura creativa: la scansione degli eventi, la costruzione della suspence, i personaggi, sono tutti al posto giusto. Se si cerca di mettersi nell’ottica del suo anno di uscita, il 1990, è chiaro che si trattasse di un libro innovativo, che metteva al centro della scena aspetti sia di tecnica forense sia informatici che difficilmente facevano parte del bagaglio culturale del lettore medio dell’epoca. E non mi stupisce che la formula e il personaggio abbiano permesso all’autrice di dare vita a una serie di romanzi di successo. È anche questo, in qualche modo, molto americano: scrivi di ciò che sai, metti giù le cose nel giusto ordine e in modo chiaro e se sono rose fioriranno. È un po’ l’American Dream applicato alla narrativa seriale.
Certo, se poi si pensa che una delle sue colpe maggiori è stata l’aver portato in qualche modo alla nascita della serie a fumetti Julia, viene voglia di tornare indietro nel tempo e fermare la Cornwell prima che sia troppo tardi. Però d’altra parte ha portato anche a Bilico di Paola Barbato e allora si può anche perdonare :-)

More about Il festival dei fantasmiIl festival dei fantasmi” di Rhys Huges è, credo, il primo titolo di 40k che recensisco. 40k è una casa editrice che pubblica solo in formato digitale testi di dimensioni molto contenute, di narrativa come di saggistica. Più precisamente, questo è un racconto di media lunghezza; non so se dovrei infilarlo qui in mezzo, ma siccome in formato cartaceo credo di avere letto cose della stessa lunghezza pubblicate in volume singolo, non vedo perché no.
A ogni modo, la prima cosa a cui ho pensato al termine della lettura di questa breve storia ambientata in un festival musicale è stata quanto sia forte l’impronta di Lovecraft e della sua concezione del mondo nella narrativa fantastica. Huges costruisce la sua storia, tutta attraversata dall’amore per la musica, con i giusti ritmi e piazza una bella botta di orrore cosmico al culmine della tensione narrativa. Di più è impossibile dire senza sfociare nello spoiler più selvaggio, però la rivelazione è un bel colpo.
Non so se sia mai uscito in edizione cartacea in italiano; l’epub (senza DRM) è disponibile anche in inglese. Comunque questo Huges mi sembra uno da tenere d’occhio.

More about MalastagioneMalastagione” (Mondadori) è il primo romanzo della serie di romanzi gialli di Loriano Macchiavelli e Francesco Guccini a essere ambientato ai giorni nostri, sempre nel paese di Casedisopra, nell’Appennino tosco-emiliano. E benché sia facilmente leggibile anche da chi non hai letto i suoi predecessori, è il lettore fedele che trova la maggior soddisfazione nel libro, visto che ormai sono una sessantina gli anni di vita di questo spicchio di Italia immaginaria che i due autori hanno raccontato e i riferimenti al passato rievocano i libri precedenti, le loro storie, i loro personaggi. Si deve purtroppo rispettare il luogo comune: il libro migliore, come intreccio, resta il primo. L’amore con cui sono descritti i luoghi, a cui si aggiunge la profonda vena di malinconia per la loro trasformazione, tra seconde case e asfalto (e da Casedisopra non sembra essere stata fatta passare la TAV Bologna-Firenze) è sempre mozzafiato e restituisce sulla pagina tutto il fascino, gli odori e i colori di quei posti. Però la storia investigativa potrebbe essere migliore. L’idea di usare come investigatore una figura inedita, cioè un agente della Guardia Forestale, è buona e i due autori sembrano trovarsi a loro agio anche quando si tratta di descrivere fenomeni come le comunità di Elfi che si possono incontrare da quelle parti.
Comunque vorrei che tu quelli convinti che gli ebook abbiano una scarsa leggibilità dessero un’occhiata a come cavolo è stampato male questo libro.

More about Cani da rapinaÈ una storia vecchia come il mondo che difficilmente ci stancheremo di sentirci raccontare, fino a che ce la raccontano bene: un gruppo di criminali di mezza tacca ha per le mani un affare che può cambiare la loro vita, ma in un modo o nell’altro va tutto a puttane. Luca Moretti ambienta questa storia nella Roma delle borgate di oggi, in “Cani da rapina” (Purple Press). Non è anticipare troppo della storia dire che un pacco di cocaina trovato fortuitamente farà prima la fortuna e poi segnerà la fine di alcuni piccoli spacciatori della periferia romana, come se fosse uno spin-off di Romanzo Criminale ai giorni nostri (e in un certo senso lo è, perché il “pezzo grosso” della storia è un reduce della Magliana). La storia ci mette un po’ a partire davvero e all’inizio sembra un po’ perdersi in una lunga serie di descrizioni di ambienti e personaggi, che alternano un linguaggio che cerca di rendere la parlata dei borgatari e una lingua più letteraria, poi quando il meccanismo della tragedia mette in moto i suoi ingranaggi si va avanti più speditamente. Trovo un po’ superfluo e compiaciuto il glossarietto finale sulle droghe, anche se alcune informazioni sul tema contenute nella storia sono interessanti: per esempio, in Italia non ha mai preso piede il mercato del crack perché pare che i consumatori trovino molto più rapido e pratico farselo da soli partendo dalla cocaina.
Alla fine mi immaginavo (complice una quarta un po’ truffaldina in questo senso) qualcosa di più diretto e con meno implicazioni, una storia criminale senza troppi fronzoli; invece ho trovato che le aspirazioni di fare qualcosa di più “alto” non siamo completamente realizzate e quindi il tutto resta un po’ sospeso.

That’s all, folks.

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Islampunk: le parti censurate


Per insondabili ragioni, l’edizione italiana di The Taqwacores non è stata tradotta dall’originale americano (che ho recensito a giugno, 7, 30 euro su bookdepository), ma dall’edizione inglese, che presenta una serie di tagli che vanno dal singolo aggettivo a interi dialoghi che sono appena appena essenziali per il senso complessivo del romanzo. L’editore inglese tagliò perché si era in pieno casino per le vignette danesi su Maometto, ma questo non lo giustifica per nulla, perché The Taqwacores è una critica dall’interno all’Islam e ai difetti umani del suo fondatore e non ha nulla a che vedere con quella vicenda. L’editore italiano, Newton&Compton, invece non ha alcuna scusante, anche se ha almeno avuto il buon gusto di indicare in quali punti è stato tagliato qualcosa (stendo un velo pietoso sullo strillo di copertina “tra Arancia Meccanica e Trainspotting”: il secondo ci può stare, ma Arancia Meccanica non c’entra un benemerito cazzo).
Comunque.
In rete si trovano (oltre a un’intervista sul tema all’autore) facilmente le parti censurate dall’edizione inglese.
Però immagino che se uno se l’è comprato in italiano magari non può/vuole leggerlo in inglese. Quindi, visto che già avevo tradotto per i fatti miei un passo del libro, mi sono messo a tradurre le parti mancanti (lasciando i casi in cui è saltato solo un fuckin’ di solito associato al Corano o alla Sunna).
Ho messo dei link a Wikipedia che permettono di capire un po’ meglio di che cosa si sta parlando.
Ovviamente, quanto segue contiene sesso, violenza, offese a profeti e uomini religiosi, accenni ad atti sessuali su minorenni. Nessuno vi obbliga ad andare avanti. Se lo fate, poi non venite a dire “come puoi ospitare sul tuo blog delle cose simili?” (nel caso vi stiate domandando “ma perché invece con le vignette danesi su Maometto te l’eri presa tanto?”, la risposta sta nel fatto che MMK è un musulmano che attacca la sua religione cercando di innescare dei movimenti di cambiamento al suo interno e ne ha quindi tutto il diritto. La questione delle vignette danesi era diversa. Oltre al fatto che facevano cagare, che è la cosa più grave di tutte).
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I libri di settembre

Il resoconto dei libri letti a settembre. Evidenziato il migliore.

La congiura (…Uccidete Romano Prodi…) – Michele D’Arcangelo
Parlare di questo che è, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi e ingiustamente sconosciuti romanzi italiani degli ultimi trentasei-trentasette anni è uno di quei compiti per i quali ci si sente sempre indegni. Ma come ci si può tirare indietro e non parlare di questo coraggiosissimo documento che ammanta appena appena di invenzione romanzesca una pagina della nostra storia recente che sarebbe rimasta altrimenti segreta? Insomma, D’Arcangelo squarcia la congiura del silenzio sull’attentato che la CIA, insieme ai servizi deviati e ad altre componenti reazionarie della società italiana, architettò ai danni di Romano Prodi ai tempi della guerra in Iraq. Il piano prevedeva la sua uccisione in un attentato di chiara matrice islamica (sparargli un razzo con un bazooka mentre entrava nella sede dell’Ulivo) per allontanare così la sinistra italiana da posizioni pacifiste e… boh, fare qualcosa di losco. Comunque. Una storia nerissima, fatta di malvagie macchinazioni che spezzano le vite di giovani, perspicaci e attenti servitori delle forze dell’ordine e delle persone a loro vicine, al centro della quale c’è uno spietato assassino al servizio di tutte le bandiere. Certo, forse a volte lo stile zoppica appena appena. Forse ogni tanto qualche passaggio trasuda ingenuità. E forse il fatto che l’assassino di cui sopra legga le poesie dell’autore, che è il suo poeta preferito insieme a Montale, è un po’ vanaglorioso. Ma perché fermarsi a questi difetti, quando siamo davanti a un libro che tutti dovrebbero leggere? Ovviamente, nonostante il coraggio dell’autore e dell’editore, Loro hanno trovato il modo di disinnescare questa vera e propria bomba a orologeria, che potete ormai trovare solo su qualche polveroso scaffale delle edicole delle stazioni o sulle bancarelle dell’usato. In attesa, come certi ordigni bellici che ancora oggi si trovano durante gli scavi, di essere fatta brillare.

Le intermittenze della morte – Jose Saramago (Einaudi)
E se un bel giorno la gente smettesse di morire, ma solo all’interno di uno stato, che cosa succederebbe? Il romanzo di Saramago parte da un what if di sapore fantastico e, nella prima parte, esplora in modo al tempo stesso logico e paradossale le conseguenze di questo spunto. In questa, che è la parte migliore del romanzo, i rapporti tra fede, politica, malavita, commercio, tutto, vengono messi in luce in modo lucido e divertente. La seconda parte, quasi un altro romanzo, incentrata tutta sulla figura della morte e delle sue vicissitudini è parecchio più stanca e non regge il confronto. Se ci si mette anche un periodare che prevede frasi lunghissime, quasi estenuanti, si finisce a concludere il libro un po’ per sfinimento e si perde il piacere della prima parte. Peccato.

Osama Van Halen – Michael Muhammad Knight (Soft Skull Press)
Ricapitolando: il primo romanzo di MMK, “The Taqwacores” ha avuto un impatto tale sui giovani musulmani americani da portare davvero alla nascita di una scena punk islamica come quella immaginata nel libro. Questo è una specie di seguito, visto che ricompaiono due dei personaggi, la riot gggrl con burqa Rabeya e lo skinhead sunnita Amazing Ayuub, che nel libro precedente incarnavano il lato più surreale e folle dell’incrocio tra islam e punk; ma anche lo stesso MMK è un po’ un personaggio e un po’ il narratore della vicenda, in un incrocio piuttosto stretto di autofiction e autobiografia. La narrazione procede per episodi, il più straordinario dei quali (al di là del rapimento di Matt Demon) è l’avventura di Ayuub nel deserto, tra zombi e jiin (i demoni della tradizione islamica) che hanno una loro scena country, degno del miglior Lansdale. Meno fulminante e più discontinuo di “The Tawqacores”, resta comunque un gran libro, che si legge di corsa, diverte e racconta altri aspetti della vita della nascente comunità taqwacore. E permette di dare uno sguardo da dentro a un lato inedito del mondo musulmano.

Accusare – Giacomo Papi (ISBN)
È un libro fotografico che raccoglie una grande quantità di foto segnaletiche in un modo o nell’altro storiche, dagli albori della pratica all’altroieri, cercando di contestualizzare la pratica, i personaggi, le situazioni. Sfilano così in rassegna criminali, personaggi famosi, perfetti sconosciuti, insieme alle loro storie. Un modo affascinante di guardare alla storia contemporanea e alle pratiche di catalogazione e controllo sociale, oltre che una galleria di volti e tipi umani interessantissima, con alcune punte di surrealismo estremo (la dominatrix di inizio novecento fotografata in posa con frusta e altri attrezzi, la travestita con abiti da uomo e nuda, per esempio)

Barbari – Alessandro Barbero (Laterza)
A scuola, molto rapidamente, si studia che l’impero romano è caduto sotto la spinta delle invasioni barbariche. Il che è in parte vero e in parte più complesso. Barbero, che è un eccellente narratore, cerca di ricostruire le dinamiche del rapporto tra l’impero e i “barbari” presentando un’ampia serie di casi, situazioni, personaggi, che aiutano a capire meglio come si siano svolte le cose e danno un’immagine molto moderna dell’impero romano e delle sue politiche. Ovviamente, nonostante la bravura di Barbero, il taglio è comunque ancora abbastanza specialistico e non è che la lettura in treno  sia la sua condizione di fruizione ideale…

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I libri di giugno

I libri letti nel mese precedente. Brevi commenti, più impressioni che recensioni. Evidenziato, al solito, il libro che mi ha colpito di più.

8 euro e qualcosa da Bookdepository.

The Taqwacores – Michael Muhammad Knight (Soft Skull Press)
Allah è grande e Jello Biafra il suo profeta.
Questo potrebbe essere in sintesi il succo di questo libro, che è una roba esplosiva. Era da parecchio che non mi capitava di trovarmi così preso da una storia, dai suoi personaggi, dalle idee che mette in mostra. MMK racconta di una casa in cui abitano alcuni punk. Islamici. Che cercano, ognuno a modo suo, di trovare una convivenza tra la propria religione e lo stile di vita punk. Il modello a cui guardano è la scena Taqwacore della costa ovest: gruppi punk di fede islamica, dai nomi minacciosi, l’ultima frontiera della minaccia all’America WASP. La cosa straordinaria è che se oggi si cercano su Myspace i gruppi citati, come i Vote Hezbollah, li si trova. Perché dal libro è nata davvero una scena taqwacore. E questo è il potere della letteratura in tutto il suo splendore: quando le idee diventano cose reali. Quando la letteratura non si limita a raccontare il mondo, ma contribuisce a trasformarlo.
Il romanzo, una storia di formazione raccontata da un ragazzo di origini pakistane, è pieno zeppo di dialoghi pungenti e spicci sulla religione, su Maometto, sulle affinità tra Islam e punk, su cosa possa voler dire essere americano e musulmano insieme. E si conclude con un concerto in cui tutte le contraddizioni, tutte le anime, tutto quanto, esplode in tutto il suo drammatico potenziale.
È un libro terribilmente affascinante, sfacciato e compiaciuto. Che ha fatto incazzare musulmani integralisti a go-go. Tanto che in UK è uscito pure tagliuzzato. In Italia ha avuto una fugace edizione usa-e-getta per la Newton, con il titolo di Islampunk; ma è già esaurito. Cercatelo. Leggetelo. Fatelo leggere.
Dal libro sono stati tratti ben due film: un documentario e un adattamento.
Adesso devo procurarmi il seguito: Osama Van Halen.

Tutti i miei amici sono supereroi – Andrew Kaufman (Meridiano Zero)
Non sono molto a mio agio con questo genere di letteratura vagamente surreale e romantica. Ma se non altro il libro di Kaufman ha dalla sua il fatto di essere piuttosto breve (poco più che un racconto lungo) e di avere qualche idea carina nella descrizione dei “supereroi” che ne popolano le pagine. Ma per il resto mi ha lasciato parecchio indifferente.

Summer of love – George Martin (Coniglio Editore)
George Martin racconta la registrazione di Sgt. Pepper, concedendosi anche quale sortita nel resto della storia del suo lavoro con i Beatles. Non vengono rivelati segreti particolari (bene o male è tutta roba che i fan conoscono da tempo), ma è bello sentire raccontate certe cose direttamente dalla voce di chi ha dato forma alle idee dei quattro. Peccato per una traduzione un po’ altalenante. Il vero ero del libro però è Geoff Emerick, che una volta suggerisce di appendere John Lennon a testa in giù davanti a un microfono, in modo che cantando il dondolio del corpo riproduca un effetto Leslie e l’altra prova a infilare un microfono ina caraffa mezza piena d’acqua per vedere che suono esce cantando dentro la caraffa.

Cassandra – Christa Wolf (e/o)
Il mito della guerra di Troia, con tutte le sue infiniti propaggini (un Marvel Universe ante-litteram, al quale il fumettista Eric Shanower ha applicato una robusta dose di ret-con per poterlo raccontare in un’opera colossale e di una profondità senza precedenti, “L’età del bronzo“) sta alle fondamenta della cultura occidentale, con le sue figure archetipiche, il suo modo di raccontare le passioni, i difetti, i dubbi degli uomini. Christa Wolf prende questo mondo e lo guarda, ci costringe a guardarlo, attraverso gli occhi di una delle figure più drammatiche di quei miti, la profeta Cassandra. E lo fa in un romanzo-monologo incalzante, ipnotico e allucinato, che sbatte in faccia al lettore tutta la brutalità che è possibile immaginare, da una prospettiva dichiaratamente femminista, di grandissima efficace. È difficile, dopo, tornare a pensare ad Achille in termini diversi dalla “bestia”, che incarna tutto il furore e la mancanza di umanità di un mondo in cui la sopraffazione del forte sul debole è la norma e travalica ogni legge che gli uomini si sono dati al punto che per fermarlo è necessario violare le leggi.
Un’opera impressionante, che ha la stessa forza d’urto e la stessa intensità delle tragedie antiche, la stessa profondità di temi. Solo, ovviamente, non sempre agevolissima da seguire.

Acapistrani – Pablo Renzi (Libero di scrivere)
Ecco, mettiamo l’avvertimento: Pablo è un mio amico. Acapistrani è una raccolta di racconti umoristici, del genere che fa, grosso modo, capo a Woody Allen: parodie, inserti surreali, personaggi strampalati. Mediamente, i racconti fanno ridere. Alcuni di più degli altri. Uno in particolare, “Ho scritto t’amo sulla sabbia”, mi è piaciuto parecchio più degli altri.

Carni (e)strane(e) – Adriano Barone (Epix Mondadori)
Epix ha fatto una cosa che è mediamente l’equivalente editoriale di un suicidio: pubblicare la raccolta di racconti di un esordiente italiano. Racconti fantastici, per di più. E lo ha fatto due volte. Questa di Adriano Barone è la seconda (la prima, Malarazza, l’ho saltata); a dire il vero Barone non è un esordiente-esordiente, visto che come autore di fumetti ha pubblicato due volumi prima di questa raccolta (“L’era dei titani“, con i disegni di Massimo Dall’Oglio, è un bell’esempio di storia di robottoni post-evangelion), ma siamo comunque lì. Ciò detto, i racconti oscillano tra l’horror, lo strano (o weird) e il fantasy (in senso lato); e il meglio sta proprio in questi ultimi, con i racconti finali dedicati ai personaggi biblici, che avanzano con un passo sicuro e inarrestabile. È bello anche il primo racconto (già apparso su Carmilla), mentre francamente mi ha colpito abbastanza poco tutto quello che c’era nel mezzo.

Slash. The autobiography – Slash & Anthony Bozza (Harper&Collins)
Le autobiografie rock sono un genere che fa sempre piacere leggere. Ci trovi mescolati un po’ di pettegolezzi, un po’ di notizie interessanti, degli incroci inaspettati con gente che non ti aspetteresti e via così. Questa dell’unico vero guitar hero “di massa” degli ultimi venticinque anni non fa eccezione: il buon coautore ha fatto un bel lavoro nel mettere in bella forma i ricordi di Slash, dall’infanzia ai Velvet Revolver. Ovviamente la parte del leone la fanno gli anni con i Guns n’ Roses e la sua versione degli scazzi con Axl (i cui avvocati devono avere letto sillaba per sillabe le bozze, perché il tutto è molto con il freno a mano tiratissimo). Le parti più noiose, alla lunga, sono quelle relative alla droga, a quella volta che era sfatto di qua e quella in cui era sfatto di là. È interessante, però, che non ci sia mai una presa di distanza forte da quelle esperienze. Slash non pare rinnegare granché, se non i casini che la dipendenza gli ha procurato. Il che è abbastanza onesto, da parte sua. In generale, è la versione “down to earth” di tutte quelle ridicole biografie su “Guns n’ Fucking Roses” uscite negli anni novanta, che ridimensiona alcune leggende, senza però smentirne le basi. Bello, nel suo genere.

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The Taqwacores

Sto leggendo “The taqwacores”, di Michael Muhammad Knight, un libro che parla di giovani punk americani, islamici. Non so chi lo pubblichi in Italia, né ho voglia di cercare se è stato effettivamente tradotto.
[edit: in italiano si chiama “Islampunk“, pubblica la Newton & Compton. Qui le recensioni su aNobii]
Mi sono però divertito a tradurre un dialogo che mi è piaciuto molto, da una delle prime scene del libro.
Spero di essere riuscito nella traduzione a mantenere un po’ della verve dell’originale (che grazie ai potenti mezzi di Google Books potete comodamente leggervi qua).

Lynn era sulla sdraio, con indosso un piccolo top con i laccetti e la testa piena di dreadlock.
“As-salaamu alaikum” ha detto, come se stesso cercando di essere gentile.
“Wa alaikum as-Salaam” ho risposto. “Non credo sia una buona idea stare lì, quella sedia ne ha passate un bel po’”
“Sei qui per eseguire la fatwa?” mi ha chiesto.
“Che?”
“Lo sai, sono un’apostata. Quindi tecnicamente potresti uccidermi”
“In effetti” ho risposto con una mezza risata.
“Avanti, fammi un bel Rushdie” ha detto stirando le braccia e chiudendo gli occhi.
“Penso si possa solo nei paesi islamici”
“Oh, meno male”. Si è passata il dorso della mano sulla fronte, mimando un sollievo esagerato.
“Ma lo pensi davvero, di essere un’apostata?”
“Sai, quando tutti si mettono a dirti che non sei musulmana, va a finire che ci credi anche tu”, ha risposto.
“Oh”.
“Ma finché a che non arrivi a quel punto in cui non te ne importa nemmeno più niente, ci stai piuttosto male”
“Ma tu ci credi ancora in Allah, no?”
“Io credo siamo stati creati, oppure veniamo, da Qualcosa… e questo Qualcosa prova per noi una compassione che noi non siamo neanche vicini a concepire”
“A me sembra proprio l’Islam”.
“Dici?” ha chiesto inarcando le sopracciglia.
“Negli hadith c’è scritto, hai presente?, che la Pietà di Allah supera la sua Ira”.
“E che se mangi con la mano sinistra stai facendo come il Diavolo”.
“Sì, vero”. Ho cercato di ridere di nuovo, a disagio.
“Non è semplice,” ha detto. “È come se ci fossero delle cose nell’Islam che mi sembrano così belle e che ti fanno… sentire qualcosa e ti fanno amare Allah… e poi invece ci sono tutte queste stupide stronzate, hai presente?”
“Già” ho risposto, domandandomi se ammettere che nell’Islam ci sono delle stupide stronzate facesse anche di me un apostata. “Ma mi sembra che tu non dubiti che ci sia un solo dio, questo è quello che conta”.
“Immagino”.
“E Maometto? Credi in Maometto?”
“Ecco il punto” ha detto con uno scatto. “Che storia è, questa di Maometto? Se hanno deciso che non era il Cristo musulmano, perché è così fondamentale credere in lui?”
“Sai, non si tratta tanto di credere in Maometto ma—”
“E a parte tutto, perché dovrei credere in un tizio che si è sposato una di sei anni?”
“Sì, ma—”
“L’ha sposata che aveva sei anni” ha detto.
“Ma non ha consumato fino a che lei—”
“Ha compiuto nove anni, lo so. Quindi va bene. È tutto ok, Apostolo di Dio: ha nove anni, ha avuto il ciclo, ficcaglielo dentro! Come dovrei prendere questa cosa, Yusef?”
“Non lo so, Lynn”
“Sono una persona spirituale. Credo in Allah, anche se non sempre lo chiamo Allah e anche se prego come voglio pregare io. A volte guardo le stelle e, così, mi prende questo misto di amore e paura, hai presente? E a volte magari mi siedo in una chiesa cristiana a sentirli che parlano di Isaia, con in mano le poesie di Hafiz invece che il libro degli inni. E lo sai, Yusuf? A volte, ogni tanto, tiro fuori il mio vecchio tappetino e prego come pregava Maometto. Non ho mai imparato un cazzo di Arabo e ho le ginocchia nude, ma se per Allah è un problema, a che razza di Allah crediamo?”
“Non ho idea”

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