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Who will save rock and roll? – I Dictators, il rock and roll e tutto quanto – 2

TheDictators

Continua e finisce la breve storia a punti dei Dictators.

10. Nonostante sia un disco oggettivamente parecchio bello, Blood Brothers fa fiasco come i suoi predecessori. E a questo punto la band va di nuovo in frantumi. Negli anni ’80 Ross the Boss fonda i Manowar, Top Ten i Del-Lords.

11. La reunion arriva in due parti. Nel 1990 esce, a nome Manitoba’s Wild Kingdom, il disco … and you?, in cui suonano Manitoba, Shernoff, Ross the Boss e il nuovo batterista “Thunderbolt” Patterson. Il singolo “The party starts now” finisce in heavy rotation su Mtv e un frammento pure nella colonna sonora di Un poliziotto alle elementari.

Il disco è più metalloso dello standard dei Dictators, con alcuni pezzi che sono in effetti puro metal; esce giusto in tempo per farsi poi spazzare via dal grunge un anno dopo e finire nel dimenticatoio. E’ comunque un discone pure lui. 25 minuti.

12. “Manitoba”, per inciso, è nel campo musicale un marchio registrato da Handsome Dick Manitoba. Infatti, il tizio che si fa chiamare Caribou in origine si faceva chiamare Manitoba, ma ha dovuto cambiare per una causa intentatagli da nostro.

13. Per avere un nuovo disco dei “veri” Dictators bisogna aspettare il 2001, quando esce Dictators Forever, Forever Dictators (DFFD per gli amici), che mostra un gruppo incredibilmente lucido e affilato, alle prese con un punk rock maturo e divertente al tempo stesso. Io ho lasciato il cuore su “Avenue A”, cantata da Shernoff, che racconta il quartiere di St. Mark’s Place e quello che è cambiato lì negli anni:

14. Benché DFFD non sia un successo irresistibile, serve almeno a fare tornare i Dictators in pista, che da allora inanellano uscite dal vivo e tour in Europa. Ovviamente non tutto va benissimo e attorno al 2010/11 Shernoff parlando del gruppo (in pausa, ma Manitoba, Ross e Patterson suonano in giro con il nome “Manitoba”) si lascia scappare qualcosa sul fatto che Manitoba comunque non è un vero cantante e che tutti i pezzi li ha sempre scritti lui e questa cosa non sarebbe mai stata riconosciuta. Segue un certo scambio di vaffanculi via web, al termine del quale le due parti sembrano trovare una qualche forma di accordo e il gruppo di Manitoba può fregiarsi del nome “The Dictators NYC”, che è un po’ quelle soluzioni tipo “La leggenda dei New Trolls”. Ma l’importante è che in qualche modo i ‘taters siano ancora in giro.

15. Un po’ di robe sparse.
– Una volta i Dictators si fecero cacciare dal tour dei KISS perché Manitoba imitò uno dei discorsi di Paul Stanley al pubblico sul palco.

– Attorno al 1977, i roadies dei Foreigner, con cui i Dictators erano in tour, rovesciarono una rete piena di patate sul palco mentre suonavano. Lo scherzone nasce dal fatto che il nomignolo della band, ‘taters, significa appunto “patate”.

– Su un numero della rivista Punk! uscì un fotoromanzo con Lester Bangs e Manitoba impegnati in uno scontro all’ultimo sangue. Il modo migliore per leggerlo è prendersi una copia di Punk: the Best of Punk Magazine, che contiene una quantità incredibile di cose bellissime.

– Una volta a New York nel 1977 gli AC/DC aprirono per i Dictators, al Palladium. Poi già che c’erano andarono a suonare al CBGB’s.

– Le cover registrate dai Dictators sono: California Sun (The Riviera’s), I got you babe (Sonny and Cher), Search and Destroy (The Stooges), Slow Death (Flamin’ Groovies), The Moon Upstairs (Moot the Hoople), Interstellar Overdrive (Pink Floyd), What Goes On (The Velvet Underground), I Just Wanna Have Something to Do (The Ramones).

– Handsome Dick Manitoba non è uno a cui piaccia starsene con le mani in mano. Negli anni ’80 ha fatto il tassista, oggi conduce un programma radiofonico su un canale diretto da Little Steven (un altro insospettabile fan dei Dictators), ma è stato pure per un certo tempo il cantante dei riformati MC5.

Già che c’è, gestisce pure un bar sull’Avenue B a Manhattan, il Manitoba’s.

– I Dictators sono stati uno degli ultimi gruppi a suonare al CBGB’s, due sere prima della chiusura (prima che diventasse una boutique di Varvatos). Per Manitoba tecnicamente sarebbero stati l’ultimo gruppo rock, perché l’ultima sera si esibì Patti Smith, che però considera “robaccia hippie” o giù di lì. Abbiamo un video.

– A proposito di CBGB’s, ecco i Manitoba’s Wild Kingdom con Joey Ramone nel 1991. I Ramones incisero California Sun probabilmente ispirati dalla cover che ne fecero i Dictators nel primo disco.

16. Le date italiane dei Dictators NYC sono:
– 29 luglio Bologna, Bolognetti Rocks
– 30 luglio La Spezia, Spazio Boss
– 31 luglio Brescia, Area Sonica
– 2 agosto Seregno, Tambourine

 

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The next big thing – I Dictators, il rock and roll e tutto quanto – 1

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I Dictators sono uno dei segreti meglio custoditi del rock and roll. E incidentalmente uno dei miei gruppi di sempre, amati di un amore che non avrei mai creduto di potere provare per un gruppo scoperto ormai lontano dall’adolescenza. Ne ho parlato un paio di volte, qui e nel resoconto del viaggio a New York.
Ma siccome i Dictators (o meglio i Dictators NYC, formula dietro alla quale si nascondono alcune menate tra i membri fondatori e il fatto che della formazione originale sopravvivono solo due membri) sono appena sbarcati in Europa per un tour che toccherà anche l’Italia per ben quattro date, mi sembra giusto condividere questo segreto con il mondo (inteso come: quelli che curiosamente hanno ancora questo blog nel feed reader).

Dalla Rolling Stones Record Guide del 1982. D.M. è Dave Marsh, cofondatore di Creem e una delle 120.000 persone che si contendono il titolo di "prima persona ad avere usato il termine PUNK parlando di musica"

Dalla Rolling Stones Record Guide del 1982. D.M. è Dave Marsh, cofondatore di Creem e una delle 120.000 persone che si contendono il titolo di “prima persona ad avere usato il termine PUNK parlando di musica”

1. I Dictators sono stati fondati attorno al 1973 da Andy Shernoff, bassista e cantante, che a 16 anni aveva fondato la fanzine Teenage Wasteland Gazette, per la quale scrisse qualcosa anche Lester Bangs.

2. Il loro primo disco è del 1973, si intitola The Dictators Go Girl Crazy ed è stato prodotto da Murray Krugman e Sandy Pearlman, che all’epoca gestivano anche i Blue Öyster Cult. Non fu propriamente un successo commerciale, però ispirò due ventenni di nome John Holmstrom e Legs McNeil a fondare una fanzine sperando di potere un giorno intervistare la band. Quella rivista si chiamava “PUNK!”, forse ne avete sentito parlare. Per sfiga, quando i due chiamarono la Epic per chiedere un’intervista al gruppo si sentirono dire che il gruppo si era sciolto e tanti saluti.
Toh, ascoltatelo tutto, tanto è breve:

3. Un paio di canzoni del primo disco sono cantante da “Handsome Dick Manitoba”, al secolo Richard Bloom, amico di Shernoff e roadie tuttofare della band. Narrano le cronache come roadie Manitoba fosse un disastro, in qualsiasi mansione (dalla guida alla cucina); in compenso una sera del 1974 salì sul palco (per la prima volta in vita sua) per cantare Wild Thing. Doveva essere una specie di scherzo, ma il pubblico impazzì letteralmente, non tanto perché Manitoba sia un grande cantante (anzi), ma per il carisma promanato a profusione. Da lì, è diventato la “secret weapon del gruppo” e quando Pearlman e Krugman hanno messo sotto contratto il gruppo hanno preteso che diventasse un membro ufficiale.

4. Tra le altre bizzarre decisioni di Pearlman ci fu anche quella di cambiare il cognome di Ross da Friedman a Funicello, perché l’idea dell’italo-americana tirava di più. Il cognome gli resterà appiccicato almeno fino ai primi dischi dei Manowar.

5. L’ultimo concerto prima dello scioglimento temporaneo nel 1975 fu a una roba che si chiamava Miss All Bare America. Abbiamo una foto dell’edizione del 1977 (mandate a letto i bambini):

Foto di Roberta Bayley

Foto di Roberta Bayley

Edizione del 1975

Edizione del 1975

6. Si riformano all’inizio del 1976. Shernoff si fa un po’ da parte e si presenta come bassista Mark “The Animal” Mendoza. Ha una testa di capelli afro da fare paura e suona come un mastro ferraio. Probabilmente le due cose non sono collegate, ma qualche settimana dopo il palazzo in cui provano crolla mentre loro non ci sono.

7. Manitoba è il protagonista di uno degli eventi più citati nei libri sugli anni punk di New York: “The Wayne County Incident”. Wayne County era all’epoca un cantante transessuale e si stava esibendo con il suo gruppo al CBGB’s. Ubriaco, Manitoba si mette a insultarlo. Questo è il punto su cui tutti i testimoni concordano, perché poi le interpretazioni divergono: per alcuni era un attacco omofobo in piena regola, per altri aveva sempre fatto parte del gioco. Fatto sta che a un certo punto Manitoba mette un piede sul palco. Il CBGB’s era un buco, pare che per andare in bagno fosse una strada obbligata. Oppure voleva menarlo? Anche qui i resoconti divergono. Quello su cui tutti concordano è l’epilogo: Wayne County urla una roba tipo “CICCIONEDDIMMERDAHAIROTTOILCAZZO” e schianta l’asta del microfono addosso a Manitoba. La scena pare sia stata molto buffa, perché i due protagonisti sono questi:

Handsome Dick Manitoba (a sinistra, l'altro è Muddy Waters)

Handsome Dick Manitoba (a destra, l’altro è Muddy Waters)

Wayne County

Wayne County

Manitoba crolla a terra in un bagno di sangue. Il colpo gli ha sfasciato la clavicola.
Succede ovviamente un casino. I Dictators sono ostracizzati più o meno da chiunque, tanto che la rivista PUNK! si sente in dovere di fare qualcosa per il suo gruppo ispiratore. Per prima cosa, chiede un articolo a Lester Bangs. Bangs, che sta per trasferirsi a New York, manda una sbrodolata allucinante sulla “Mafia gay di New York”, poi rinsavisce e chiede che non venga pubblicato. Il pezzo si trova online e non è tra le cose migliori di Bangs. Tempo fa provai a tradurlo, ma è un inferno:

Ma questa non è una novità. Queste stronzate sono vecchie come Brian Epstein. Più vecchio. Se volessi tirartela davvero da artista e vantarti della tua erudizione potresti risalire a tutta la documentazione sul fatto che Nijinsky dovette lasciarsi fottere nel culo da Diaghilev per diventare “un successo”. È come tutte quelle stronzate che hai letto su Hollywood, le attricette e il divano per i provini, ed è tutto VERO, a parte che sono e sono stati i bei ragazzi quelli che qualcuno si vuole succhiare. Mi ricordo nel ’66, sto vedendo qualcosa su Warhol e i Velvet sulla tv pubblica, sono lì a fumare erba con mio nipote mentre guardiamo i Velvet al Dom che suonano un’ininterrotta jam “orientale” con Cale che incombe sulla sua viola accordata aperta e Lou Reed che strimpella davanti a una muraglia di amplificatori e poi c’è uno stacco sul pubblico che è tutto pieno di questi scenaioli warholiani che ballano come coglioni su questo bordone senza muovere gomiti e ginocchia, in una catatonia metamfetaminica, e con tutta l’ingenuità del 1966 guardo mio nipote e gli dico “cioè, mi domando come potresti mai entrare a fare parte di un gruppo di gente del genere”.

Okay, non ce l’ho con il fare i pompini e non ce l’ho con gli omosessuali. Una persona etero non può permettersi di fare nulla di neanche lontanamente vicino a una cosa del genere in questo momento storico, perché come per i neri la memoria delle terribili oppressioni è ancora troppo fresca – a dire il vero là fuori dove la maggior parte degli americani vive sono ancora cosa di tutti i giorni, il che vuol dire che mi scuso se suona paternalistico ma mi sento dispiaciuto per chiunque debba vivere tra completi rincoglioniti che ammiccano a loro con occhi che luccicano di gioia sadica solo perché capita che siano un po’ diversi in un modo o nel’altro. Ci sono delle sofferenze dietro all’essere alla moda, dietro alle stronzate S&M/D&D effeminate che qualunque sadico o masochista degno di questo nome dovrebbe odiare almeno quanto le odia l’autore di questo pezzo, dolori che hanno a che fare con sorrisetti alle spalle e individui chiaramente incompleti, coglioni repressi che ti vogliono fare mangiare merda perché ami o ami fare l’amore con persone del tuo stesso sesso o hai altre propensioni che non rientrano nelle strette maglie del loro eterno terrore…

Comunque l’altra cosa che fanno quelli di Punk! è organizzare ai Dictators un concerto, in un locale nuovo e fuori dal giro, che attira un sacco di gente incuriosita e che vuole vedere questi tizi di cui ha tanto sentito parlare.

8. Il secondo disco si chiama Manifest Destiny. Shernoff ci suona le tastiere. È il disco meno riuscito del gruppo, anche se contiene almeno due perle.
Una è Young, fast, scientific, che contiene il verso “rock and roll made a man out of me” che è talmente enorme che i KEAP hanno dovuto scrivere una canzone con quel titolo.

L’altra è la cover di Search and destroy degli Stooges che, beh, fate un po’ voi.

Neanche questo disco va bene e nel 1978 Mendoza se ne va, per finire poi nei Twisted Sisters. Shernoff torna a fare il bassista a tempo pieno e scrive le canzoni per un nuovo disco.

9. Bloodbrothers è il titolo del terzo disco, il primo in cui Manitoba canta TUTTE LE CANZONI. Il fatto che non sia un cantante è opzionale. Non ci fai quasi nemmeno caso.
Il disco è famoso per un featuring misconosciuto, quello di Bruce Springsteen.
New York in quegli anni era un posto dove succedevano un sacco di cose, musicalmente, e Springsteen era uno con le orecchie lunghe e frequentazioni variegate (come dovreste sapere, visto che scrisse Because the night per Patti Smith e Hungry Heart per i Ramones, salvo poi tenersela per sé) (se volete approfondire la NYC musicale di quegli anni, c’è un buon libro da poco pubblicato in Italia da Codice Edizioni: New York 1973-1978. Cinque anni che hanno rivoluzionato la musica). Fatto sta che Springsteen è nello studio di fianco che registra Darkness on the edge of town, in una pausa si affaccia e chiede se gli fanno fare qualcosa, nello specifico urlare ONE! TWO! ONE TWO THREE FOUR! alla fine dell’assolo di Faster and Louder.
Altri due pezzoni sono Stay with me, pezzo “alla Ramones”, e Baby Let’s Twist, che ebbe un minimo di vita radiofonica, una specie di Louie Louie in minore

(continua)

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Ready Freddie?

(perché le tradizioni sono tradizioni)

Ne avevo sempre sentito parlare (anche a proposito della famosa sfida lanciatagli da Rob Halford a gareggiare in moto con lui per dimostrarsi degno del look da motociclista) ma non avevo mai visto le immagini di Freddie Mercury che si esibisce con il Royal Ballett.


Quando salta per farsi sollevare come in una coreografia della Celentano è bellissimo.

Bonus
Dall’archivio:

2005
2007
2008

5 commenti

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“Praticamente una rockstar”

What is there left for me to do in this life?
Did I achieve what I had set in my sights?
Am I a happy man or is this sinkin’ sand?
Was it all worth it?

Due premesse:
1. Mi scuso con i lettori (ma soprattutto con le lettrici), ma si finisce sempre a parlare di lui;
2. il post che state per leggere parla della copertina del numero di dicembre di Rolling Stone Italia. Solo ed esclusivamente della copertina. Non so come siano gli articoli all’interno, ma per il discorso che voglio fare è irrilevante. Il post parlerà della copertina e della copertina soltanto, del modo in cui può essere fruita come testo autonomo e la lettura che ne consegue.

Ok. Un saluto ai tre lettori rimasti, venite pure qui davanti che c’è posto.

Non ricordo di preciso da quando Rolling Stone Italia si sia messa a distribuire il titolo di “rockstar dell’anno”. L’anno scorso era toccato a Roberto Saviano. Ho ancora il numero nello scaffale dietro di me in ufficio. Non perché ci tenga particolarmente, solo che non mi ricordo mai di buttarlo. Comunque, allora quella scelta mi era sembrata stridente. E continua a sembrarmi stridente oggi, solo che ora so anche spiegarmi le ragioni.
Nel mezzo, c’è stata la lettura del saggio di David Foster Wallace E unibus pluram (EUP). Contenuto in “Tennis, Tv, Trigonometria, Tornado”, EUP è un saggio che parla del rapporto tra la televisione e gli scrittori americani contemporanei, nel quale Wallace sostiene che il post-modernismo, con il suo ricorso all’ironia disincantata nel descrivere il mondo, abbia dato vita a una generazione di autori che non dicono più nulla “sul serio”. L’argomento è ripreso da Wu Ming 1 nel memorandum sul New Italian Epic, nel quale non a caso si cita più volte Saviano. Il perché spero sia chiaro a chiunque abbia un minimo di familiarità con la sua attività di scrittore (ma anche con i suoi due spettacoli televisivi con Fabio Fazio): Saviano è quanto di più lontana da una sensibilità post-moderna e disincantata ci possa essere. Tanto che a volte anche io trovo quasi straniante questo mio coetaneo che nemmeno per un secondo sembra mai cedere alla tentazione di fare la battuta, minimizzare, accennare un commento cinico.
Al contrario, Rolling Stone Italia è un tempio dell’approccio cazzarone. Nello stesso numero, per dire, si annuncia “l’incredibile faccia a faccia fra Elvis Costello + Nick Jonas (sì proprio lui, quello dei tre fratellini verginelli!)”.
Insomma, una copertina con la faccia di Saviano e sotto la scritta “rockstar” stride come unghie sulla lavagna, perché preleva di peso una persona da dove si trova e la cala più o meno nel contesto in cui amano collocarlo i suoi detrattori: “uno che fa spettacolo”.
Magari le intenzioni erano buone, ma il risultato mi lascia, ancora oggi, perplesso.

E oggi tocca a Silvio Berlusconi.
Metto la foto qui sotto per comodità.

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Ecco. L’immagine è opera di Shepard Farey, quello del poster “Change” per Obama.
Berlusconi è raffigurato con una specie di ghigno sul volto mentre strappa in due una bandiera italiana sulla quale è scritto il suo nome, sullo sfondo di un’altra bandiera italiana.
Non solo quale fosse di preciso l’intento dell’artista, né quale sia stata la richiesta di Rolling Stone Italia, ma trovo che l’effetto finale dell’immagine sia quello che si legge in questo articolo del Giornale:

Il rock è provocazione. Non guarda in faccia a nessuno. Entra nei sancta sanctorum e puzza di blasfemo. Non rispetta la nobiltà, la storia, le tradizione. È un talento barbaro, che i custodi del passato faticano a riconoscere. Ribalta i canoni. Il rock è costretto a mostrarsi giovane anche a 70 anni. Quando il Cav entra nel club esclusivo della politica estera lascia fuori i cappelli a cilindro della vecchia diplomazia. È il cucù, le corna (rock, molto hard rock), i kapò, voce alta, scacco alla regina e tutta la geopolitica della pacca sulle spalle. Il rock avvicina, cancella le distanze, alto e basso non si distinguono più. Il motto è: «Hi fratello».

“Distruggere” è un gesto che associamo alla cultura rock. E ha un valore positivo perché, in quella moderna epopea che è “la storia del rock” intesa come fenomeno socioculturale, il rock svolge un ruolo positivo, di rottura di consuetudini e di liberazione. “Elvis ha liberato i nostri corpi e Dylan le nostre menti” diceva John Lennon. Al rock associamo blue jeans, liberazione sessuale, assenza di formalismi, istintività. In parte per innegabili motivi storici, in parte perché sono collegamenti che ci siamo abituati a fare negli anni.
Ha gioco facile la stampa di Berlusconi a usare questa copertina per glorificare quegli aspetti della figura pubblica del PresDelCons che a me fanno rimpiangere il pentapartito e Tribuna Politica. Ha gioco facile perché quella copertina (che sopravviverà molto più a lungo di qualsiasi articolo la commenti all’interno del giornale) sembra proprio, per il contesto, per quello che c’è scritto, perché nasce già per essere un’icona pop (suppongo che a breve avere una propria foto manipolata da Farey diventerà come farsi ritrarre da Raffaello) e per essere letta all’interno del sistema di valori del “pop” e del post-moderno.
Ora, non credo spetti a Rolling Stone Italia fare da baluardo contro Berlusconi. Rolling Stone Italia è una rivista che opera in un regime di mercato ed è liberissima di fare le copertine che ritiene porteranno più lettori la cui attenzione vendere ai propri inserzionisti. E le polemiche, si sa, fanno vendere.
Però, ecco, secondo me questa copertina è così goffa nell’essere un omaggio all’immagine pubblica che il PresDelCons vuol dare di sé che a me sembra più un omaggio spudorato. Esattamente il tipo di ossequio verso un potente e verso il suo culto della personalità che vorrei non vedere mai mai mai.

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