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Il giorno del fango verde

I Green Day si sono avviati sulla strada già battuta dai Red Hot Chili Peppers: voler diventare grandi facendo dischi levigati, curatissimi, che possano piacere più o meno a chiunque se li trovi per caso in radio.
Amen, buona fortuna.

Io, quando uscì Basket Case avevo 14 anni e qualcosa. Credo che la prima volta che la sentii in radio fosse in una trasmissione condotta da Nikki su Radio Deejay, Rock the nation. Me la ricordo perché partiva con una sigla tiratissima, entrava Nikki tutto carico e annunciava una ballad di Tom Petty. Ok, era Radio Deejay. Basket Case per me fu una specie di personalissima Smells like teen spirit: era la prima volta che, in diretta, sentivo della musica che discendeva da una tradizione musicale di cui non sapevo (se non di fama) nulla. Punk? Che era il punk? Ero ferrato nell’hard rock, nel metal, nel grunge. Ma il punk? Sì, ok, in parte i Nirvana. Ma quel punk lì? Questa roba veloce e melodica e appiccicosa come un chewing gum? Wow.
Dookie lo comprai qualche settimana dopo, ascoltandolo allo sfinimento. 39 minuti messi in loop 3-4 volte di fila. Figata. Non c’era una canzone che non mi piacesse.
Quell’estate lì i Green Day suonarono al concerto per i 25 anni di Woodstock. Le cronache riportarono un evento che, nella mia mente, assunse immediatamente connotati epici: durante il loro concerto si scatenò una battaglia a colpi di zolle di fango tra il gruppo e il pubblico. Durante la quale il bassista scese dal palco, cercò di tornare su coperto di fango, uno della security non lo riconobbe e gli tirò un cazzotto che gli fece saltare due denti.
Ne resta qualche traccia nel disco del concerto, con Billie Joe che dice qualcosa tipo “you’re fuckin’ hippy” al pubblico, ma non ne avevo mai visto delle immagini fino a che, qualche tempo fa, non mi è tornato in mente l’episodio.
E ovviamente You Tube mi è stato amico. Lanci di fango si trovano in tutte le canzoni di quel set (When I come around, tipo), ma l’apoteosi è nel video qui sotto. E la cosa meravigliosa è che soddisfa pienamente le aspettative di 15 anni di attesa.
Lo spettacolo vero e proprio inizia all’incirca a 1:50, quando Billie scorda la chitarra, poi è colto da una specie di attacco isterico e sbrocca. Il resto è tutto da vedere, anche perché a un certo punto, a sorpresa, c’è un accenno di We’re not gonna take it.
Inutile dire che se succedesse oggi, Billie e soci lascerebbero il palco offesissimi al primo lancio di qualsiasi cosa, probabilmente accusando il pubblico di essere composto da repubblicani.

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