Won’t you die for me?

L’inconscio di un’intera società sta chiedendo a Saviano di morire.

Wu Ming 1

Il fotomontaggio realizzato dalla rivista Max che ritrae Roberto Saviano, un po’ Che Guevara, un po’ Cristo del Mantegna e un sacco creatura di Frankenstein, steso su un letto di obitorio, arriva non a caso in mezzo a un rinnovato focolaio di polemiche minchiate su Gomorra e, soprattutto, sul suo autore. Dovrebbe essere buon segno che in un Paese in cui non-si-legge si spendano tante parole e tante energie per uno scrittore. Invece no. Perché continuiamo a non schiodarci da quello che è successo nell’autunno del 2006: la scorta assegnata a Saviano. O, se vogliamo metterla nella giusta prospettiva, la trasformazione di Roberto Saviano in bersaglio e il suo lancio definitivo nell’immaginario collettivo. La notizia arriva sui telegiornali, in particolare il Tg1 dell’allora neo-direttore Riotta le dà grande spazio, con tanto di appello di Umberto Eco nell’edizione delle 20 (a dirla tutta, il professore aveva l’aria di uno a cui avevano spiegato la faccenda dieci minuti prima e stava facendo un favore per motivi di solidarietà tra gente che bazzica in Rcs, ma tant’è) e lì Saviano smette di essere uno scrittore e diventa, definitivamente, un personaggio. Gomorra ha progressivamente sempre meno peso, mentre lui, la sua faccia, il suo corpo, la sua vita occupano la scena.

Al cuore di questa contraddizione c’è il modo in cui è scritto Gomorra. Che presenta un io narrante che può essere confuso con la persona reale che ha scritto il libro, quando la scelta della prima persona è spesso una tecnica narrativa per trascinare con maggiore convinzione il lettore dentro la materia narrata. E c’è anche il fatto che Saviano abbia molte caratteristiche che lo rendano ben spendibile sul piano mediatico. È vero che Mondadori lanciò il libro senza particolare enfasi; ma è altrettanto vero che, cosa rara per uno Strade Blu di un autore poco noto, mise una foto di Saviano in quarta di copertina.
Quando Saviano viene messo sotto scorta, tutto questo deflagra.
Saviano è un impostore; no, è un plagiaro; è un furbacchione.
Un pavloviano riflesso complottista fa girare ridicole leggende urbane sulla scorta, che sarebbe una montatura pagata da Mondadori.
Dall’altro lato, la figura di Saviano inizia ad assumere contorni eroici e superomistici. Se c’è un responsabile di questo meccanismo, non è tanto Mondadori quanto il gruppo Espresso/Repubblica, che ospita i suoi articoli.
Ogni intervento di Saviano viene sparato con titoli del tipo: “Saviano: vi racconto l’impero della cocaina”. I titolisti obbediscono a direttive; e queste direttive dicono che è più importante chi parla che non quello di cui parla. Fin troppo importante.
Esporre come un trofeo la collaborazione del giovane coraggioso che sfida la camorra.

E Saviano è da un po’ che dice che a lui, di fare l’eroe, non è che faccia tutto questo piacere. Anzi.
Come scriveva Eco a proposito di Pietro Micca, l’eroe è quello che se lo prende nel culo perché gli altri non hanno fatto il loro dovere (nel caso di Micca, Eco sosteneva la teoria di una miccia difettosa o di poco prezzo, bruciata troppo in fretta per permettergli di mettersi in salvo; posizione che all’epoca gli costò feroci reprimende e accuse di anti-patriottismo) (Italia: abbiamo un suicide bomber come eroe nazionale. Mettiamoci pure l’intifada ante litteram di Giovan Battista Perasso detto il Balilla e siamo tutti palestinesi). E Saviano è quello che si trova a vivere una vita del cazzo (sì, uh, ha fatto i soldi. Chissà come fa a spenderseli, però) perché, sostanzialmente, in Italia ci sono porzioni del territorio nazionale che, di fatto, sono governate da un altro stato. Uno stato talmente potente sul lato economico che la sua scomparsa avrebbe non poche ripercussioni – in peggio – sull’economia nazionale.
E quindi se tu fai lo scrittore e trovi il modo di raccontare (appoggiandoti ovviamente al lavoro di quanti si sono occupati della materia prima di te) tutto questo; e trovi un modo potente, un punto di vista che permette al tuo libro di far arrivare queste informazioni a un pubblico molto più ampio di quello che se ne interessa solitamente, beh, sei in grossi guai, amico.

La visibilità diventa una necessità.
Stare sulla ribalta a testimoniare la tua storia, far capire quale sia il prezzo da pagare per avere parlato di quello che andrebbe taciuto.
Doversi muovere in un contesto di spettacolo (gli speciali su Rai 3), stando sul sottile filo che separa la necessità dal protagonismo.

Il sentimento “di pancia” contro Saviano ha trovato espressione nel libro di Alessandro Dal Lago, perché è normale che a un certo punto arrivi quello “più di sinistra” a farti la lezioncina e a dire che la società crea falsi eroYAAAAAAAAAAAAAAAWN (sbadiglio galattico). Un libro che però pare traboccare di errori, imprecisioni e citazioni manipolate per supportare la tesi di partenza. Non che ci sia nulla di male nel criticare Gomorra. In una raccolta di inchieste pubblicata da Minimum Fax (Il corpo e il sangue d’Italia) c’è un bel pezzo sulla legittimità di raccontare in un certo modo la morte di una ragazzina per aggiungere impatto emotivo, come fa Saviano in uno dei passi del libro che hanno ricevuto più critiche.
Quello che non si può fare è perdere l’empatia verso una persona che da due anni vive blindata; e magari accusarla pure di fare il gioco della camorra stessa. O di essere uno che vuole essere “famoso”.

L’immagine fatta realizzare da Max rientra in tutto questo nel peggiore dei modi possibile. Secondo il direttore, dovrebbe “difendere Saviano”.
Come? Non si sa bene, forse l’articolo che introduce lo fa.
Ma Saviano ha bisogno di essere difeso su Max? Ne siamo sicuri?
O piuttosto è Max che vuole far parlare di sè (come è successo) attaccandosi a un argomento che tira, incurante delle conseguenze?
“Roberto Saviano su Max”, ecco l’idea che passa. “Guardarlo, fa la vittima! Si fa fotografare come un morto”. Un’inutile spettacolarizzazione, che trascina la questione al livello delle riviste patinate.
E poi? Rolling Stone (che già lo nominò “rockstar dell’anno“) che organizza un chiarimento tra lui e Borriello, photoshoot su un campo di calcio, polo Fred Perry, scarpe Bilkkemberg, pantaloni Levi’s, pallone Adidas?
Giustamente, Saviano non l’ha presa bene.
Ma l’immagine, inutilmente shock (Oliviero Toscani, un giorno pagherai per i tuoi crimini) (non l’ha fatta lui, ma lo stile è quello), è terribilmente significativa.
È come se ci fosse questa pressione inconscia perché Saviano porti a termine il suo percorso di eroe. In fondo, che muoia non lo desiderano solo quelli che lo odiano, ma forse anche chi lo sostiene.
Per dirla con De André, di un soldato vivo non sappiamo poi così bene che farcene. Un eroe morto, possibilmente giovane, invece sappiamo benissimo come usarlo.
Un’icona buona, inerte, comoda, da stampare sulle magliette e sui poster, non una voce attiva, che parla, si esprime, critica, magari crea imbarazzi.
Si facesse ammazzare.
Riscattasse i dubbi che ha suscitato.
Da che mondo è mondo, funziona.

Extra
Dal vecchio
Buoni Presagi
su Gomorra:

Giugno 2006 – 1
Giugno 2006 – 2
Febbraio 2007

7 commenti

Archiviato in Libri, politica, società

7 risposte a “Won’t you die for me?

  1. yamunin

    Buona sintesi.
    :-)

  2. Cogli molto bene l’essenza del discorso, come al solito.

  3. A costo di essere noiosa…grande. Come sempre.

  4. Ho appena letto il pezzo su Carmilla.
    Che se ne vadano a cagare, tutti sti profittatori e sti intellettualini (che si sentono grandi) che portano la bandiera della moscezza.
    (Lo so, non è un commento approfondito, ma dopo quel pezzo là, e le tue chiose, cos’altro vuoi dire?)

  5. (5 grazie)

    Certo che poi uno stamattina si sveglia, legge di Taricone che è morto, poi più tardi repubblica.it sbatte lì un “Saviano: ‘Andavamo a scuola insieme'” e gli casca tutto il cascabile (dovrebbe riaffiorare a breve in Nuova Zelanda).
    Poi legge l’articolo e in fondo c’è scritto che Taricone aveva preso pubblicamente le parti di Saviano dopo il recente attacco di Berlusconi. E ok, poteva essere titolato meglio, il pezzo.
    Anche perché l’ultima uscita di Taricona sulla camorra che ricordo è di quando era ancora dentro la casa e diceva:

    “Facevo l’ amministratore e andavo a vedere certe costruzioni: la camorra, la camorra vera! Giravo sempre con questo tipo qua, in una Maserati allucinante. Mi chiamavano: “Pietro, ci sta un problema al seggio 15”, arrivavamo là, abbassavamo il finestrino e chiedevamo: “Guaglio’ , c’ è qualche problema?” e si compravano i voti là fuori”
    (Corriere della sera).
    E insomma, sarebbe pure carino sapere che c’è stato in mezzo.

    • Me lo domandavo anch’io, cosa ci fosse stato in mezzo.
      Messa giù così – con questa cosa che a Roberto Saviano dispiaceva tanto il fatto di non aver potuto ringraziare quel ragazzo della sua terra – la faccenda aveva un’aura, non so come dire, forse «papale» che c’emtrava poco, di suo, con la responsabilità di chi fa i titoli…

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