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La prima vittima

Avere informazioni precise su quanto sta accadendo in Libia è abbastanza difficile e chi vuole dare notizie facendo un minimo di fact-checking è sottoposto a uno sforzo non da poco per filtrare voci, dicerie, testimonianze e ricostruire la realtà dei fatti.
Anche le voci che arrivano via Twitter in realtà aiutanto fino a un certo punto. In questi giorni sto seguendo un ragazzo di Tripoli, per esempio, che è da giorni chiuso in casa sua nel centro della città e racconta, più o meno, quello che vede dalla sua finestra o che riesce a sapere dagli amici.
E comunque, anche le testimonianze in loco possono contenere omissioni e distorsioni più o meno consapevoli e volontarie. Del resto, essere freddi e obiettivi mentre ti sparano addosso non è semplicissimo.
Per esempio, dalle ricostruzioni mi pare di capire che non ci siano stati, almeno a Tripoli, veri e propri bombardamenti aerei sui manifestanti, ma che si sia trattato invece di spari (anche con armamento parecchio pesante, tipo lanciarazzi) da parte di uomini armati trasportati da elicotteri non militari.
Diverso è il caso di Bengasi, perché lì ci sarebbero le testimonianze dei piloti dell’aviazione militare che hanno disertato a Malta. Secondo l’inviato del Guardian obiettivo dei bombardamenti sarebbe stata una base militare caduta in mano agli insorti.
Poi ovviamente c’è la stima dei morti, che va dai 300 di Human Rights Watch (ma il dato è dei primi giorni della rivolta) ai 10.000 ipotizzati dal componente libico della corte internazionale dell’Aia (ULTIMORA: la corte nega che la persona in questione abbia qualche legame con essa) alla  tv Al-Arabiya.
E al numero di morti è in qualche modo collegata la notizia di ieri dell’esistenza di fosse comuni, accompagnata da un video e da un certo numero di foto.
C’è però un problema, perché le foto mostrano questa situazione:

E queste non sono fosse comuni. Sono sepolture individuali. Tante, ma individuali.
La fossa comune è un buco per terra in cui vengono buttati cadaveri alla rinfusa (spesso al di fuori dei cimiteri), queste sono tombe scavate in un cimitero; sulle sepolture si vedono anche date e scritte che, immagino, indicano il nome del defunto.
Una fossa comune è una cosa del genere:

Infatti, scrive Petrolio:

Come si sospettava, non si tratta di una distesa di fosse comuni ma di un cimitero già esistente a Tripoli. Si chiama Sidi Hamed Cemetery, e si trova vicino al mare (qui la verifica col satellite Google Maps). Nel video, si vedono aggiungere due file per le vittime di questi ultimi giorni; ma tutte le tombe che si vedono intorno sono tombe che esistevano già. Insomma, niente fosse comuni d’emergenza. Ricordatevelo stasera, quando le vedrete al telegiornale.

Cosa pensare?
Qualcuno parla di “puzza di Kosovo” (nei commenti al post, Wu Ming 1 fornisce un po’ di link interessanti)
Ai miei modestissimi occhi (so di geopolitica del mondo arabo più o meno come so di alt-folk; in entrambi i casi c’entra gente con la barba) sembra che questa volta Nato, Stati Uniti e Unione Europea non sappiano davvero che pesci pigliare e, forse, stiano alla finestra aspettando di vedere da che parte tira il vento. E del resto Iraq e Afghanistan credo abbiamo fatto passare a tutti la voglia di impelagarsi in azioni militari che prevedono forme di gestione del dopo.
Mi sembra piuttosto che i giornali italiani abbiano rilanciato il video pompando sul sensazionalismo per un vizio congenito del nostro linguaggio giornalistico, visto che Google News (che è parzialissimo, però) mi restituisce ben pochi risultati per l’equivalente in inglese; molti dei quali fanno riferimento a un’ipotetica fossa comune di militari ribelli nei pressi di Bengasi.
Ovviamente, visto l’assunto iniziale di questo post, ciò non esclude che possano esserci fosse comuni.
Ma di sicuro non sono quelle che si vedono nel video e nelle foto dei giornali italiani.

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