Fiera, nel senso di “bestia feroce”

Il mio secondo Salone del Libro in veste di standista è stato più lungo e faticoso del primo (da venerdì a lunedì, con l’appendice del disallestimento martedì mattina). E dopo avere trascorso ormai una settimana della mia vita sulla moquette blu del padiglione tre, dopo aver venduto non so più quanti volumi, aver battuto non so quanti scontrini ed essermi scordato di restituire almeno un paio di carte di credito, sono giunto che alla conclusione che io, se non dovessi andarci a lavorare, al Salone di Torino da visitatore non ci metterei mai piede.
Passo indietro, per chi non ci è mai stato.
Che cosa è il Salone del libro?
Una libreria. Gigantesca. A pagamento.
Anzi. Un centro commerciale, perché quest’anno, per esempio, gran parte del padiglione uno era occupato da negozi di strumenti musicali. E perché ci sono sempre un po’ di stand buffi che non c’entrano niente, come i produttori di vino o i ragazzi di un’agenzia che fa roba motivazionale (nel duemilaFOTTUTOundici, dopo anni e anni di demotivators questi avevano i poster motivazionali con leoni, albe e tramonti affissi dentro allo stand).
Un grosso centro commerciale in cui la maggior parte dei prodotti ha prezzi più alti di quelli che si possono trovare al di fuori delle sue mura, nei centri commerciali veri o nelle librerie o, pensa un po’, su Amazon o Ibs.
A giudicare dai sacchetti che vedevo in giro, il percorso tipo è questo: tu arrivi, fai una lunga coda, paghi dieci euro, entri e ti fiondi nello stand di MondadoriRizzoliGeMS (tutti uguali, tutti costruiti come fortini con mura e torri; qualcosa vorrà dire) e gli lasci venti carte per un libro che hai visto da Fazio (Fabiofazio is the new Mauriziocostanzosciou). Poi vai a sentire la conferenza di Travaglio. Poi non lo so, gironzoli un po’, porti i bimbi al gigantesco stand della Nintendo che almeno giocano un po’ o ci vai tu a giocare. Ti intruppi in coda a comprare un panino fetido all’autogrill o la pizza irreale di Spizzico (là fuori c’è Eataly, ci sono bar e ristoranti, c’è una metropolitana che in dieci minuti ti porta in centro: ma con il biglietto da visitatore una volta uscito non puoi rientrare). Fai un passo allo stand della Rai che magari stanno registrando qualche trasmissione e a casa ti vedono. Robe così.
Pessimismo o snobismo che sia, a me sembra che sempre di più il Salone del Libro sia, per il grosso dei visitatori, un estensione del mondo televisivo, un posto dove puoi andare a vedere da vicino le persone che vedi dentro allo schermo, magari recuperare un autografo.
Una rapida elencazione dei personaggi più o meno pubblici che ho avvistato in fiera (o in albergo, quindi lì per la fiera): Marina Ripa di Meana, Piero Fassino, Dario Franceschini, Anselma Dell’Olio, Enrico Ruggeri, Francesco Bianconi dei Baustelle (con i capelli puliti, potenza dell’ufficio stampa Mondadori che è riuscito a fargli fare uno shampoo), Franco Di Mare, Alessandro Bergonzoni, Vittorino Andreoli, Pavel Nedved, Massimo Carlotto, Maurizio Milani, Piero Dorfles, Giorgio Bocca, Luca Telese, Gianluca Morozzi, Vittorio Sgarbi, Tito Faraci, Andrea G. Pinketts.
Poi me ne sfugge qualcuno sicuramente: ma l’unica volta che sono finito in mezzo a una ressa per una persona che pubblica regolarmente romanzi è stato quando Licia Troisi firmava libri allo stand Mondadori (ma un tre-quattro anni fa ricordo Carlo Lucarelli seduto allo stesso tavolino lì fuori completamente ignorato).
Sul Giornale c’è un elenco abbastanza impietoso (lo prendo con il beneficio del dubbio, ma del floppone di Moccia ho letto anche altrove):

Federico Moccia: 32 persone. Javier Cercas, premio Salone del Libro: numerose file vuote. Antonio Scurati con Alessandro Bertante e Tommaso Pincio: semideserto. Paolo Nori: deserto. William Vollmann: deserto.
Ricapitolando: un bestsellerista, un grandissimo scrittore straniero, un quotato e ben noto autore italiano (Scurati) e infine due outsider di qualità indiscussa (Nori e Vollmann). Cinque personaggi diversi fra loro, eppure ugualmente interessanti se non interessantissimi nei casi di Cercas e Vollmann, i due fiori all’occhiello di questa edizione. Al Salone però hanno fatto tutti quanti flop in termini di presenze.
Piergiorgio Odifreddi: esaurito. Vito Mancuso: esaurito. Eugenio Scalfari: pienone. Gustavo Zagrebelsky ed Ezio Mauro: pienone. Alberto Asor Rosa ed Enzo Bianchi: pienone. Umberto Eco: esaurito. Micromega: esaurito. Vittorio Sgarbi: esaurito. Dario Fo: pienone. Giuliano Amato: esaurito. Cambiando genere. Margherita Hack: esaurito. Alberto Angela: esaurito. Luciana Littizzetto: esaurito. Gianantonio Stella e Sergio Rizzo: esaurito. Eve Ensler, Lella Costa, Lunetta Savino: esaurito. Mario Calabresi: esaurito. Hans Kung: esaurito.

Quanto si sono visti in tv coloro i cui incontri sarebbero andati deserti e quanto gli altri?
Sulla vacuità dello star system letterario e sui suoi rituali, di cui il Salone di Torino è il Tempio, c’è questo video che vi consiglio di vedere tutto prima di andare avanti con la lettura.

Ma non c’è solo la tv. Ho incontrato più blogger e affini lo scorso weekend a Torino che in qualunque altra occasione da quando sono entrato a far parte della “parte abitata della Rete” (per dire: il ragazzo dell’ufficio stampa che si vede chiamato in causa nel video qui sopra da Moccia è un blogger con cui sono in contatto da anni, ma ci siamo incontrati per caso solo lunedì quando è passato allo stand per avere dei dati). C’erano Zio Bonino e Stark che presentavano il secondo volume di Spinoza (e il libro di Milani uscito nella collana che dirigono), c’erano i barabbisti, intervistati dal Corriere della Sera, c’era Makkox che presentava i suoi lavori. Ma dovrebbe sorprenderci che da un media dove si comunica scrivendo scrivendo scrivendo (anche in forme brevi, anche con i disegni di fianco) venga fuori della gente che si mette a fare dei libri?

Considerazioni generali sullo stato del mondo a parte, il Salone (anche se tutti diciamo poi “fiera”, forse perché è davvero una bestia feroce che ti sbatacchia dalle 10 di mattina alle 10 o alle 11 di sera, con il brusio costante, le luci al neon, l’umidità che ti fa imbarcare il cartone della copertina di un paio di libri) è personalmente un’esperienza che vale la pena.
Stare alla cassa di uno stand, guardare le persone che girano tra i libri, li prendono in mano, li sfogliano, chiamano un amico per fargli vedere qualcosa o li mettono giù con la faccia da “MEH” ti aiuta un pochino a capire che cosa funzioni e cosa no, chi è il pubblico di quello che produci.
Ma soprattutto quello che mi piace è il fatto di poter vedere un luogo solitamente pieno di gente quando invece è ancora deserto, quando tra gli stand ancora chiusi si aggirano solo pochi espositori e i visitatori sono solo una coda fuori dai cancelli. È il fascino del backstage, dei preparativi, delle cose che riposano.
Una mattina che sono arrivato abbastanza presto mi sono fermato a fare qualche foto (con l’iPhone, quindi non sono il massimo, ma rendono l’idea)

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Poi ci sono le cose buffe che succedono, le richieste improbabili.
Sono sicuro che me ne sono successe altre, ma al momento l’unica che mi è rimasta in mente è questa signora che arriva alla cassa e mi fa:
“Ce l’ha il Piccolo Principe?”
“No signora, lo trova da Rizzoli è lì dietro”
“Eh! Ma Rizzoli non fa li sconti!”
“Capisco, ma ce l’hanno solo loro”
“E non ce l’ha nessun altro? Dove lo posso trovare?”
“Signora, qui in fiera ce l’hanno solo loro”
“Eh, vede? Se ne approfittano che sono gli unici e non fanno gli sconti!”
E se n’è andata via incazzata. Solo più tardi mi è venuto in mente che forse la signora non aveva ben chiara la differenza tra “stand di una casa editrice” e “libreria” (e del resto lì è difficile averla chiara, come già detto).
Ho avuto a che fare con un sacco di ragazzini e di bambini. Con orrore ho scoperto che la gente nata nel 2001 non solo già parla e cammina ma a volte ha anche dei soldi in tasca. Soldi propri. Come passa in fretta il tempo.
Però lo spettacolo delle classi di medie e superiori portate in giro a pascolare tra stand di libri di cui non gliene frega visibilmente nulla è parecchio desolante. Girano come se girassero in un centro commerciale (e dai) poco interessante, senza negozi per loro. Hanno giusto ogni tanto qualche lampo di vitalità davanti a facce o copertine che hanno visto da qualche parte, poi tornano a preoccuparsi (giustamente) dei cazzi loro.
Per fortuna invece ogni tanto capita qualche bambino divertente, tipo quello che mi guarda e, di punto in bianco, mi fa “Tra poco compio quattro anni”. E io “quando, domani?”. “A… ad agosto”. Con lo stesso bambino poco dopo ho rischiato di infilarmi in un’orrenda spirale di “perché?”. Stavo per vedermi costretto a usare l’arma “LA CACCA” (come insegna Rat-Man) ma per fortuna ha smesso da solo. Anche perché non mi veniva in mente nessuna delle meravigliose risposte che dà il padre di Calvin di solito.
Un’altra volta è venuta una bambina di 6-7 anni con una maglietta dei Rolling Stones con la linguaccia. “Gran maglietta” le ho detto. La nonna che la accompagnava (che poi a grandi linee avrà avuto l’età di mio padre) ha confessato che non era tanto contenta perché lei all’epoca preferiva i Beatles. “Alla mamma invece piacciono i Rolling Stones. E anche a me” ha detto la bambina. In tutto questo io avevo una maglietta degli Who, quindi la British Invasion era servita.

Come l’anno scorso (e quello prima ancora e quello prima ancora) code inumane davanti al bagno delle donne. Che in una manifestazione in cui la maggioranza dei visitatori sono di sesso femminile (e così a occhio anche tra gli addetti ai lavori le donne sono la maggioranza) ci sia un pari numero di bagni per uomini e per donne continua a sembrarmi una cosa ridicola. Tutte le volte che dovevo andare in bagno capivo il senso di quella preghiera ebraica con cui si ringrazia il Signore di non averti fatto nascere donna.
Un giorno però mentre uscivo dal bagno ho visto una ragazza entrare nel bagno degli uomini con la faccia da MAVAFFANCULO. E ha fatto bene.
Poi io non so come facciano a non impazzire quelli che lavorano al bar il sabato e la domenica. Io sono stato un minuto scarso a guardarli intanto che aspettavo il caffè e ho pensato che a lavorare in quella bolgia per un turno intero sarei impazzito. Massima stima.
E già che ci siamo volevo ringraziare la Gelateria Tosca per il sostentamento e l’apporto di zuccheri durante tutti i giorni della fiera. Il loro banchetto fuori dal padiglione è stato fondamentale per la mia sopravvivenza.

L’ultima sera siamo finiti a cena in un ristorante da stronzi poco lontano dal Lingotto. “Dal 1961” recitava il menù (ma nella carta dei vini diventava “Dal 1962”; forse per un anno non hanno avuto la licenza per gli alcolici, vai a sapere) e dentro tutto era rimasto un po’ come allora. Dall’affabilità della titolare, che non si faceva alcun problema a mostrare una mostruosa disparità di trattamento e porzioni tra il nostro tavolo e quello accanto di clienti abituali, direi che era un posto dove andavano a cena fantozziani dirigenti Fiat dopo aver stravolto il piano ferie degli operai delle presse o dopo aver deciso di non riconoscere gli straordinari di aprile. Dal muro mi fissava una foto della titolare insieme al principe Alberto di Monaco. Fai te che culo. Al tavolo di fianco, perché la fiera non finisce mai, c’erano gli stessi tizi dello stand di fianco.
Pare anche che alla chiusura della fiera ci sia stata una festa nel padiglione “Oval” (dove non sono riuscito a mettere piede), festa alla quale sono andati carichissimi i miei colleghi mentre io mi trascinavo distrutto verso l’albergo. Il resoconto la mattina dopo è stato “festa di merda, ci saranno stati cinquanta uomini e cinque ragazze”.

Per la cronaca, questo è il mio bottino, tra acquisti e qualche regalo (grazie Silvia!):

5 commenti

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5 risposte a “Fiera, nel senso di “bestia feroce”

  1. La mia unica fiera da standista l’ho fatta nel 2001 con Liberodiscrivere, avevamo due imac azzurri enormi che attiravano frotte di ragazzini e stavamo all’ingresso, di fronte al castello della Rai. La ricordo come un’esperienza allucinante, ma bellissima, non c’ero mai stato neanche da spettatore e mi sentivo in paradiso. La sera, quando giravo per gli stand vuoti e carichi di libri senza nessuno che mi controllasse, e ciononostante tenevo le mani a posto, ero convinto che quello in realtà fosse l’inferno.
    Il ricordo più emozionante è il megaschermo di Rainews24 che annuncia la vittoria a Cannes de La Stanza Del Figlio, e tutti, turisti e operatori e insegnanti in cerca della cartellina di plastica e studenti, tutti si fermano lì dove sono e si voltano verso lo schermo e applaudono a lungo.

  2. Eccoti! Sì, sono stato chiamato in causa da Moccia, perché a ideare il Madalon (che sta facendo il giro dei giornali on-line, tg, ruggiti dei conigli etc) sono stato io su invito di…non posso dire altro.

    Scusami se non sono più venuto a salutarti, ma il comunicato stampa finale del Salone è un’opera gigantesca che mi ha succhiato molto tempo.

    • Ma grandissimo!
      Tra tutti quelli che si vedono nel video sono affascinato da De Cataldo, che del blurb alla cieca deve essere un grandissimo virtuoso, dalla sicurezza con cui risponde. Meravigliosa anche l’Annunziata con il paragone con Culicchia.
      Attendo il tuo resoconto :-)

      (confesso che venerdì mi sono infiltrato in sala stampa a scroccare del caffè nonostante avessi solo un pass espositore. Ma il vecchio trucco del “devo portare dei cataloghi” ha funzionato)

  3. Ps. Devo dare il mio resoconto! Appena posso lo scrivo

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